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Ecco la copertina della prima pubblicazione del Nigra "I canti popolari del Piemonte", pubblicata nel 1888
ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI DI COSTANTINO NIGRA
Titolo Generale: "Il padre della Diplomazia Italiana di tutti i tempi è stato il canavesano Costantino Nigra"
1a Articolo: "La formazione diplomatica al fianco di Cavour"
2a Articolo: "La maturità professionale in terra di Francia"
3a Articolo: "Ambasciatore in Russia e Regno Unito"
4a Articolo: "Il culmine della carriera nella capitale della diplomazia europea: Vienna"
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1° articolo: Costantino Nigra: La formazione diplomatica al fianco di Cavour di Roberto Favero
Premessa
Costituita nel 2010 in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ASSDIPLAR, Associazione Diplomatici - che riunisce i diplomatici italiani a riposo - è intitolata a colui che è considerato il primo diplomatico che si adoperò per l´Unita nazionale, Costantino Nigra.
Questa affermazione ci fa capire la rilevanza che questa figura di patriota italiano ha avuto nella nascita e nello sviluppo del nostro paese e nella affermazione della diplomazia italiana di tutti i tempi, sollevando il vessillo del patriottismo, dell’abilità politica, della preparazione culturale, della capacità dialettica.
Scriveva di lui il Ministro del 2° Impero francese Emile Ollivier nel 1871:
“Nigra riuniva ad una grazia e flessibilità seducente la più chiara fermezza di spirito. Quando si negoziava con lui, in un primo momento si sarebbe potuto credere che egli avrebbe ceduto su tutto, tanto sembrava preoccupato di non ferire alcuno; ma quando si giungeva al punto decisivo della discussione, d’un tratto la sua figura diventava grave, i suoi occhi fissavano con una penetrazione ferma e là dove voi avevate sperato di trovare una debolezza incontravate una irriducibilità”.
L’ingresso al Ministero degli Esteri
L'11 luglio 1851 l'avv. Costantino Nigra, ventitreenne, veniva assunto come volontario nel Ministero degli Esteri del Regno di Sardegna. Era, nel vecchio Piemonte, la via segnata ad ogni aspirante d'impiego: obbligato a prestare non retribuito servizio per molti mesi, o addirittura un biennio. II Nigra stesso fu promosso ad applicato di 4a classe, con annue Lire mille di stipendio, solo nell'agosto del 1853!
Eppure, benché reduce onorato dalla guerra del 1848-49, non aveva disdegnato dall'assoggettarsi a quel tirocinio; fidando per una rapida, luminosa carriera, nella sua tenace volontà di lavoro, nella solida e svariata cultura, nel forte e duttile ingegno, assistito anche da elementi estrinseci non trascurabili mai: una bella presenza, una grafia stupenda che rispecchiava quasi la chiarezza, sicurezza, eleganza del suo spirito privilegiato.
La fortuna sperata gli arrise ben presto: e la versione più accettabile sui suoi primi contatti con Cavour è quella della Sentinella del Canavese d'Ivrea (21 aprile 1899), che si fregiò spesso di comunicazioni dirette o autorizzate del Nigra.
E' nata, scriveva la Sentinella, e si mantiene una specie di leggenda la quale non corrisponde alla verità storica dei fatti. Secondo la leggenda parrebbe che il Cavour visto appena il Nigra ne intuisse le rare doti e lo prendesse subito a suo collaboratore.
Questi coups de foudre abbondano nei drammi e nei romanzi, ma nella vita reale le cose si passano diversamente ed in modo meno romantico, e meno drammatico. II Nigra era un ottimo impiegato, ma che nell'esordio della carriera, occupando un posto modesto non poteva essere a contatto col Ministro dirigente il dicastero degli Esteri che era allora Massimo D'Azeglio. Fu il caso che facilitò al giovane subalterno la conoscenza dell'autore della - Sfida di Barletta-.
Il D'Azeglio, per consiglio dei medici, si recava ogni anno a Cornigliano vicino a Genova a farvi la cura dei bagni di mare, onde lenire le conseguenze d'una grave ferita toccatagli nell'assedio di Vicenza della guerra del 1848. Occorreva al D'Azeglio un segretario pel disbrigo della sua corrispondenza. Il direttore generale del Ministero degli Esteri indicò al Ministro il giovane Nigra, come il più adatto all'ufficio.
Nell'intimità dei rapporti col suo capo il Nigra se ne guadagnò subito la stima e la simpatia.
Fu in quella circostanza che il Nigra scrisse per le nozze della figlia del D'Azeglio col marchese Ricci bellissimi versi, distribuiti agli invitati e lodati anche dal nonno della sposa, il grande Alessandro Manzoni.
Di ritorno a Torino il D'Azeglio volle il Nigra presso di sé.
Quando Cavour entrò nel Gabinetto D'Azeglio ebbe il portafoglio dell'Agricoltura e Commercio. Erano quelli i tempi in cui si stipulavano i Trattati di commercio.
La corrispondenza diplomatica si faceva dal Ministero degli Esteri, ma le idee, le proposte partivano dal Ministero del Commercio. Il Nigra, sebbene giovanissimo, fu incaricato di fare la "navetta" fra il Ministero degli Esteri e quello del Commercio.
Il giovane Nigra prendeva da Cavour la "materia prima" cioè le idee — poi le metteva in carta. Camillo Cavour meravigliato dell'attività del suo giovane ed improvvisato collaboratore, della sua fulminea intuizione e della chiarezza colla quale dava forma ai suoi concetti, prese in singolare affezione il simpatico canavesano.
Quando il D'Azeglio fu sbalzato dal seggio parlamentare dal rivale, cioè dal Cavour, questi tenne seco il Nigra e gli fece percorrere una carriera diplomatica eccezionale.
I primi passi nella carriera diplomatica
Per comprendere appieno le difficoltà ad avviarsi nella carriera diplomatica è necessario mettere in evidenza come, al tempo, gli Affari Esteri erano un terreno quasi di esclusivo appannaggio del Re e ciò non solo nel piccolo Regno di Sardegna. Non dimentichiamo che l’art. 5 dello Statuto Albertino letteralmente faceva del Re il titolare del potere esecutivo: capo supremo dello Stato, il sovrano comandava le forze di terra e di mare, dichiarava la guerra, faceva «i trattati di pace, d’alleanza, di commercio e altri», affidandogli quindi una posizione di preminenza nei rapporti internazionali.
Il regolamento per l’ammissione degli aspiranti alla carriera della Segreteria di Stato per gli Affari Esteri, toccava invece uno dei gangli del sistema dinastico-fiduciario, e cioè quello del reclutamento, rispetto al quale l’essere un soggetto di nobili natali o comunque vicino a corte era requisito primo per l’accesso nei ruoli. Il nuovo sistema per esami, introdotto nel 1851 dal Presidente del Consiglio Massimo d’Azeglio, costituiva un fattore di forte innovazione. Che il provvedimento fosse mirato alla creazione di una nuova classe di diplomatici capace di affrontare le sfide dei tempi nuovi è attestato dalla volontà di d’Azeglio di istituire anche una Scuola superiore di preparazione alla carriera diplomatica, per la quale si avvalse della collaborazione di Pasquale Stanislao Mancini, esule napoletano in Piemonte, insigne giurista liberale dell’Università di Torino, destinata negli anni successivi a giocare un ruolo di vivaio delle nuove élites politico-amministrative.
Rispetto al passaggio da una diplomazia al servizio personale del Monarca, a una diplomazia che diventa invece strumento di politica governativa, gli anni di Cavour al potere hanno un’importanza decisiva. Su questa erosione della prerogativa regia negli affari internazionali ebbe certo anche un peso la forte personalità di Cavour e il suo relazionarsi con il sovrano, con il quale i rapporti non furono sempre facili. Un primo momento di scontro si registrò a seguito del dibattito sulla soppressione degli ordini religiosi, quando si arrivò a una contrapposizione frontale tra Cavour e Vittorio Emanuele II. Indotto a dare ascolto ai clericali, che si opponevano ai provvedimenti sui beni ecclesiastici, il Re era intenzionato a sottrarre il potere al Presidente del Consiglio Cavour, tentativo che non riuscì per la difficoltà di trovare una maggioranza parlamentare alternativa.
Riconfermato alla guida del Governo, per fare in modo che la politica estera del Regno di Sardegna non perdesse di vista gli obiettivi del processo di unificazione nazionale italiano da lui ideato, Cavour riassumerà l’interim degli Esteri, dopo aver partecipato in prima persona al Congresso di Parigi (febbraio-aprile 1856), mantenendo la carica dal 5 maggio 1856 al 19 luglio 1859, anni in cui dette prosecuzione al processo di riforme avviato da Massimo d’Azeglio, che lo aveva preceduto alla Presidenza del Consiglio.
In questo nuovo ordinamento era evidente che Cavour avesse bisogno di una persona di fiducia al suo fianco, per gestire problematiche interne ed esterne in maniera diretta ed assolutamente controllata.
A questo fiduciario potevano venir affidate le missioni segrete che Cavour aveva intenzione di avviare per individuare un alleato in grado di garantire al Regno di Sardegna un determinante sostegno per affrontare il potente Impero d’Austria e liberare l’Italia dal suo giogo.
Costantino Nigra fu il prescelto da Cavour, su indicazione di Massimo D’Azeglio che aveva potuto conoscerlo da vicino come collaboratore e rendersi immediatamento conto del suo valore intellettuale e di preparazione politica. Cavour lo portò con sé, nel 1855, nella visita agli alleati della Guerra di Crimea (Francia ed Inghilterra) ed al Congresso di Parigi del 1856, con cui si definiva la pace relativa. Poi, consapevole del suo valore, lo inviò in missione segreta a Parigi a trattare, con Napoleone III, con cui Cavour aveva avuto un importante abboccamento a Plombiéres, l’alleanza per la guerra contro l’Austria.
E Nigra se la cavò a meraviglia; nei 5 mesi in cui fu a contatto con l’Imperatore, dimostrando straordinarie doti di pensatore e negoziatore politico, tanto da far affermare a Cavour (in una lettera privata) :
“Nigra ha più talento di me. Capisce perfettamente le mie intenzioni e le sa eseguire come nessun altro”.
La eccezionale carriera diplomatica del Nigra iniziava così.
Cavour lo inviò successivamente a Parigi, nel 1860, dopo la 2° guerra di indipendenza italiana del 1859 vinta contro l’Austria, per proseguire i rapporti con Napoleone III, ove continuò a tessere la tela dell’indipendenza italiana avendo oramai acquisito la fiducia e la stima dell’Imperatore e del Governo francese. L’impresa di Garibaldi per la liberazione del Sud, nell’autunno del 1860, creò della tensione diplomatica tra Italia e Francia, in quanto la Francia temeva che Garibaldi potesse minacciare lo Stato Pontificio da lei protetto, così le relazioni tra i due paesi si interruppero e Nigra fu costretto a rientrare temporaneamente in Italia. Cavour ne approfittò per nominarlo Segretario Generale delle Provincie Meridionali, da poco annesse al Regno di Sardegna ed ai primi di gennaio del 1860 Nigra entrava a Napoli prendendo possesso dell’amministrazione di tutto il Meridione.
Cinque mesi di infaticabile lavoro a Napoli, al seguito del reggente Principe Eugenio di Carignano, per mettere ordine in un territorio quasi del tutto privo di leggi e regolamenti, di ordinazione civica, di Istituzioni pubbliche efficienti, con una popolazione abituata a gestirsi secondo il proprio interesse privato. Nigra si impegnò all’inverosimile per modificare lo statu quo del territorio, ma dopo mesi di intenso lavoro e di innumerevoli problemi socio-economici, il Principe di Carignano, esausto di doversi scontrare con problemi a volte irrisolvibili, decise di porre fine al mandato affidatogli e con Nigra se ne ritornò a Torino nel maggio 1861.
Appena in tempo per vedere per l’ultima volta Cavour che, a causa di una malaria non diagnosticata dai medici curanti, moriva il 6 giugno 1861. Per Nigra veniva a mancare il Maestro, ma l’allievo aveva già raggiunto una maturità tale da consentirgli di assumere un ruolo primario in tutte le vicende diplomatiche che seguiranno.
Aveva scritto di lui Cavour, in un articolo sul giornale cattolico L’Armonia del 1860, che lo criticava per una sorta di persecuzione religiosa legata all’abolizione dei privilegi della Chiesa:
“Sono orgoglioso di aver avuto come miei collaboratori, Costantino Nigra prima e Isacco Artom poi, collaboratori intimi ed efficaci nel disimpegno dei negozi più delicati e difficili, uomini d'ingegno singolare e precoce, di zelo instancabile, di carattere aureo”.
La scuola di Cavour aveva comunque formato un funzionario del Ministero degli Esteri in grado di espletare qualsiasi incarico delicato con grande capacità e intelligenza nel rispetto di regole, comportamenti e rapporti con le Grandi Potenze europee.
Parigi, San Pietroburgo, Londra e Vienna: un percorso diplomatico straordinario
Scomparso Cavour, nel giugno del 1861, Re Vittorio Emanuele II non ebbe dubbi nel riconfermare Nigra nel ruolo di Ministro Plenipotenziario a Parigi (non era Ambasciatore in quanto il Regno d’Italia aveva a Parigi una Legazione e non un Ambasciata). La permanenza ufficiale, a Parigi (1861-1876), oltre che rafforzare i legami con la Francia di Napoleone III fece conoscere il Nigra a tutta la diplomazia europea che imparò subito a rispettarlo e a comprenderne il valore professionale.
Scriveva nelle sue memorie Pierre De Lano, scrittore francese, tratte dal suo volume - La court de Napoleon III - pubblicato nel 1892 da Victor-Havard, Editore a Parigi:
“Tre furono i diplomatici che caratterizzarono il periodo più importante del secondo impero francese: il principe austriaco Richard Metternich, l'italiano cavalier Nigra e il prussiano conte di Goltz.
Nigra fu uno degli uomini di stato più rimarchevoli e l'italiano giustamente più rispettato. Fu il tipo perfetto di diplomatico che non aveva soltanto in mente, per esprimere le proprie idee e i propri piani, l'amabilità della sua professione, ma un'abilità consumata, un senso politico assoluto, la capacità divinatoria di uomini e cose che gli impedivano di commettere errori e che, secondo l'opinione di un ministro di Napoleone III, gli facevano intuire gli avvenimenti, come un cane da caccia che fiuta la preda. In questa luce Nigra fu nettamente superiore al principe Richard Metternich, suo fedele compagno alle Tuileries, e si può dire che lo superò in tutte le questioni inerenti la politica del secondo impero.
Come Metternich Nigra era istruito, studioso ed elegante. Come lui amava la vita mondana, a corte, un leader attratto da tutte le gioie. Ma a differenza di Metternich, che seguiva la politica dei sentimenti, al richiamo cavalleresco del suo cuore, Nigra, senza cessare di usare il suo grande fascino, restava in ogni circostanza padrone di se stesso, e non praticava che la politica del raziocinio. Nessuno meglio di lui sapeva sedurre con la parola, coi gesti o con le attenzioni; ma se era pronto ad accettare tutto da coloro che lo circondavano, era molto riservato, conteneva gli entusiasmi, e con una freddezza d'animo implacabile, non rivelando nulla dei suoi pensieri, sapeva analizzare profondamente i pro e i contro prima di prendere decisioni. Non siamo quì per analizzare se tale comportamento sia lodevole o biasimabile. Ma tutto era sempre fatto nell'interesse del proprio paese e non dobbiamo andare al di là dei risultati da lui ottenuti.
L'Imperatore conosceva bene Nigra, sapeva valutare il grado della sua forza e lo temeva. Sognava di opporgli un uomo capace di resistergli, di leggergli le intenzioni, di combatterlo, di vincerlo, ma non lo trovò mai e ciò fu una delle sue sfortune.
A San Pietroburgo la sua permanenza (1876-1883) fu ammirata soprattutto per le doti letterarie e culturali che Nigra possedeva, conoscendo approfonditamente pittura, scultura, musica, letteratura di tutta Europa.
Diceva di lui lo scrittore austriaco Sigmund Munz: “Ammiro sempre la sua grande dottrina, che lo renderebbe capace d'occupare una cattedra a qualunque Università, cosa rarissima nel mondo diplomatico”.
Gli eccellenti servizi resi nella sua permanenza a San Pietroburgo lo ricandidarono più tardi nel 1895 quando il Re Umberto I gli scrisse questa lettera: “Le condizioni ben note tra noi e la Russia esigono che il nostro Ambasciatore sia dotato di qualità che nessuno è in grado di possedere meglio di Voi. La Vostra abilità molto apprezzata, la Vostra profonda esperienza e la perfetta conoscenza della posizione senza contare le relazioni con il vostro vecchio collega, vi renderebbero ben degno di aggiungere questo grande servizio ai molteplici eccellenti che avete sin qui reso al nostro Paese. Quanto a me ve ne sarei ben riconoscente. Stringendovi amichevolmente la mano, attendo la vostra risposta. Umberto"
A Londra raccolse molti rilevanti riconoscimenti alla sua carriera di diplomatico e di letterato. Dall’Italia ricevette il titolo di Conte che il re Umberto I gli concesse motu proprio; in Inghilterra l’Università di Edinburgo gli consegnò una Laurea Honoris causa per i suoi studi sulle tradizioni popolari; dall’Europa arrivò la ratifica a membro del Comitato Internazionale per il Canale di Suez che doveva regolamentare i transiti dei navigli di tutti i paesi del mondo. Ma fu anche accolto, in visita privata, dalla Regina Vittoria, al Castello reale sull’Isola di Wight ove deliziò l’illustre regnante con i suoi ricordi di Cavour, della spedizione di Crimea con la visita a londra della delegazione italiana, dei rapporti tra Italia e Inghilterra sempre all’insegna della unità di intenti in tema di politica europea.
Vienna fu la splendida conclusione della sua carriera, con riconoscimenti importanti dell’Imperatore Francesco Giuseppe che gli riconobbe grande correttezza nei molti anni di guerre tra Italia e Austria, ma anche dall’Italia da cui ricevette la massima onorificenza di Casa Savoia, il Collare dell’Annunziata, nonché la nomina a Senatore del Regno. Ma ancora l’Europa gli volle offrire il rilevante incarico di Presidente del Comitato di Redazione della Conferenza Internazionale dell’Aja, organizzata su iniziativa dello Czar Alessandro III nel 1899.
Testimonianze
Sarebbero molteplici tanto questa figura ebbe ammiratori ed estimatori in tutto il palcoscenico mondiale e l’elenco sarebbe troppo lungo per questa disquisizione informativa.
Potremmo citare Cavour, Vittorio Emanuele II, Regnanti, Presidenti del Consiglio e Ministri di tutta Europa, Scrittori, Studiosi e Storici.
La carriera diplomatica del Nigra la descrive e riassume a meraviglia Alessandro Galante Garrone, storico , scrittore e magistrato italiano, militante antifascista durante il Ventennio e combattente della Resistenza italiana. Considerato uno dei padri fondatori della Repubblica Italiana.
“Costantino Nigra sembrava destinato ad essere un buon letterato ed un grigio funzionario ma Cavour lo « scoprì », gli affidò la grave responsabilità di trattare tutti i problemi del Risorgimento con la Corte di Francia. Fu quella la sua grande stagione, anche se più tardi rappresentò il nuovo Regno nelle maggiori capitali d'Europa.
In politica e nella vita privata fu «alto e diritto », come dice il motto del suo stemma.
Cavour lo portò con sé al Congresso di Parigi, e poi ne fece il suo portavoce segreto alle Tuileries, affidandogli missioni straordinarie che scavalcavano la diplomazia ufficiale e lo portavano a diretto contatto di Napoleone III. Il trattato dopo l’incontro di Plombières, la preparazione della guerra del 1859, le annessioni delle regioni del Nord, la cessione di Nizza e della Savoia, la liberazione del Mezzogiorno : questi gli immensi problemi che Nigra dovette affrontare, a tu per tu con l'Imperatore. C'era di che tremare, ad addossare tanta responsabilità sulle spalle d'un improvvisato diplomatico trentenne, e, da parte di quest'ultimo, ad accettarla. Ma né Cavour né Nigra tremarono. Bisogna dire che il giovane canavesano seppe cavarsela a meraviglia. Seppe conquistarsi la fiducia di Napoleone III, intenderne i riposti pensieri, e, quel che più conta, impedirne gli scarti e gli improvvisi abbandoni, tenerlo in carreggiata. Diceva: « Così è fatto l'Imperatore. Bisogna pigliarlo come è, e costringerlo coi fatti a non deviare o a rientrare nella nostra via ». Un compito difficilissimo che assolse con tenacia tutta piemontese. Così, d'un tratto, l'oscuro impiegato divenne protagonista di storia, e di quale storia! Si distinse per l'acutezza dell'ingegno, l' equilibrio, la cultura, la signorilità del conversare, la devozione cavalleresca agli affetti e agli ideali di gioventù, la lealtà a tutta prova; quell' intemerata lealtà ch'egli aveva cantato un giorno come caratteristica della sua terra canavesana”.
Nella sintesi di Galante Garrone emergono tutte le spiccate caratteristiche diplomatiche del Nigra che andremo nel seguito a descrivere. Certamente si può affermare che Cavour fu il suo maestro ma che, dopo poco tempo, l’allievo lo superò capace di affrontare qualunque argomento con sagacia, temperamento e soprattutto calma e sangue freddo, capacità che solo un diplomatico eccellente possiede nel suo DNA.
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2° articolo: Costantino Nigra: la maturità professionale in terra di Francia
Introduzione
Costantino Nigra fu nominato da Cavour, come Ministro Residente a Parigi, dal marzo al dicembre 1860; poi l’impresa di Garibaldi lo costrinse a tornare in Italia. Ma dopo la morte di Cavour (6 giugno 1861) Re Vittorio Emanuele II lo nominò Ministro Plenipotenziario a Parigi, ove rimase dal luglio 1861 sino al giugno 1876. Furono 15 anni di intenso lavoro diplomatico suddivisi in due distinti periodi: dal 1861 al 1870 come diplomatico italiano alla Corte di Napoleone III; dal 1870 al 1876 come rappresentante del Regno d’Italia nella 3a Repubblica francese presieduta da Adolfo Thiers.
Fu un caso molto particolare il fatto che uno stesso diplomatico rappresentasse l’Italia in due fasi così diverse dell’amministrazione pubblica di un paese, ma Nigra era, non soltanto un valido professionista riconosciuto dai due Governi, ma soprattutto una persona di provata onestà e correttezza. Per questi motivi sia l’Italia che la Francia lo ritennero la figura più adatta ad agire come trais-d’union tra i due Governi.
Ci fu soltanto un tentativo di sostituirlo che non andò in porto. Il Presidente della Camera dal 1861 al 1867, Urbano Rattazzi, aveva sposato una francese, Maria Wayse Bonaparte nipote di Napoleone I, che aspirava a rientrare in Francia facendo di tutto per far nominare il marito Ministro Residente a Parigi al posto di Nigra. La Bonaparte fece divulgare notizie false su presunti attriti provocati dall'insolente ambasciatore francese Barone Malaret e sfruttati da certo Petruccelli, scrittore che voleva una nomina al Senato e aveva preso in uggia Nigra tacciandolo pubblicamente (tramite un libello) di incompatibilità con il suo incarico a Parigi. Ma questo tentativo fallì e, strano a dirsi, non alterò i rapporti tra Nigra e Rattazzi che furono sempre ottimi come dimostra questa lettera che Nigra inviò a Rattazzi all’inizio della sua permanenza parigina, che contiene una divertente osservazione e anche una serie di osservazioni e suggerimenti politici:
“Onorevolissimo Presidente, la Francia è come un'onesta donna che consente di lasciarsi corteggiare ma che dice sempre di no. Questo paragone Le spiega il cattivo umore prodotto dalla circolare da Lei inviata. Ho fatto il possibile per dissiparlo, e sono riuscito in parte; ma non ho potuto impedire che si risponda, benchè ne abbia fatta preghiera a Thouvenel (Ministro Esteri francese ndr).
Dal dispaccio confidenziale vedrà che per ora è impossibile rimettere sul tappeto la questione del progetto di trattato. Gli avvenimenti di Genova e il viaggio di Garibaldi forniscono all'Imperatore un pretesto, che forse cercava, per guadagnar tempo di nuovo. Ma spero che si otterrà il richiamo di Goyon (Charles-Marie-Augustin, comte de Goyon comandante della Guarnigione francese a Civitavecchia ndr).
Lavallette (Ambasciatore di Francia presso lo Stato Pontificio ndr) dichiarò che la posizione dell'Ambasciatore di Francia non è sensibile a Roma in presenza dell'Ufficiale Generale che è aiutante di Campo dell'Imperatore. Si è pensato un momento di mandar Fleury (Émile Félix Fleury generale e diplomatico francese ndr) nella doppia qualità di Diplomatico e di Comandante militare. Ma il Fleury che qui è buono e ci giova, nuocerebbe a sé e a noi a Roma, e spero che non si darà seguito a questa idea. A noi giova che torni Lavallette con un semplice generale di divisione che non abbia nè relazioni nè importanza politica.
Il grave affare è la questione interna e quindi la composizione del Gabinetto. Se malgrado le grandi difficoltà Ella potesse riuscire a completare bene il Gabinetto e a governare tranquillamente per alcuni mesi, la posizione politica estera, non ne ho il minimo dubbio, migliorerebbe sensibilmente.
Se può per carità lasci Lamarmora a Napoli. E' il solo che sia riuscito, e se ricomincia il brigantaggio è il solo che possa reprimerlo efficacemente. Rinforzi il Gabinetto coll'aggiunta d'un paio di buoni Ministri se li trova. Ho richiamato l'attenzione di Thouvenel sui preparativi di brigantaggio che si fanno a Roma e sugli intrighi di Lione.
Mi informano da Londra che il 9 aprile verrà di nuovo in scena nel Parlamento Inglese la questione italiana e di massima gli affari di Napoli. Penso che D'Azeglio (Emanuele D'Azeglio Ambasciatore italiano a Londra ndr) l'avrà prevenuta. Ad ogni modo la avverto, affinchè ove creda possa mettere il Governo inglese in misura di rispondere agli attacchi che ci saranno mossi sulle cose di Napoli da Bowyer (Sir George Bowyer leader del Partito Liberale ndr) e dal Partito oltranzista.
Il buon Conneau (medico di Napoleone III e amico dell'Italia ndr) ha dovuto scriverle per interessarla in favore del Colonnello Palazzi. Questi viene spesso a domandarmi se ho ricevuto qualche cosa da Torino in suo favore, obbligherà molto il Conneau. La posizione del Palazzi deve essere conosciuta al Ministero dell'Interno dove deve esservi un incartamento che lo riguarda. Le influenze a noi ostili aumentano nella Corte. Ma teniamo duro, finchè possiamo.
Gradisca la prego coi miei ringraziamenti per la sua lettera, l'espressione della mia devozione personale”.
Ministro d’Italia a Parigi nel 2° Impero francese (1861-1870)
E’ subito da mettere in evidenza l'importanza della tappa francese della carriera diplomatica di Nigra ed anche l’affermazione di Nigra che disse un giorno: “Nessuno più di me ama la Francia”.
Il giudizio più importante sulla permanenza del Nigra a Parigi lo dà il professor Pecout, Rettore dell’Università della Sorbona e grande studioso del Risorgimento italiano, con il suo intervento al Convegno organizzato dalla nostra Associazione a Parigi il 14 aprile 2018 :
“Per Nigra vale assolutamente l'argomento della continuità, se non della linearità, della solidarietà culturale e politica tra Francia, Piemonte e Italia. Il Nigra diplomatico di Cavour è nel cuore di questa continuità risorgimentale. Se usiamo il termine di rivoluzione diplomatica, che è una parola coniata trent'anni fa dalla storiografia e mi pare ancora valida, per parlare della diplomazia nel segno cavouriano, possiamo fare del Nigra un francese, lo possiamo naturalizzare come protagonista della cosiddetta rivoluzione diplomatica. Perché prima di tutto, tra le peculiarità della diplomazia cavouriana inconfutabile risulta l'uso della diplomazia parallela. Non direi che la diplomazia parallela sia una novità, però è caratteristico della fine del decennio e del periodo della transizione unitaria il suo uso sistematico da parte di Cavour. Nigra ne diventa il protagonista eminente, cardinale. Dal novembre 1852 diventa consigliere di Cavour e questo incarico si tradurrà in missioni all'estero, due principali nel 1855-56, il viaggio di novembre e dicembre 1855 a Parigi e Londra, durante il quale Nigra, che ha ventisette anni, accompagna Cavour, D'Azeglio e il Re – siamo nell'ombra del Re, per citare il mio vicino, e la sua seconda e più rilevante missione a Parigi, sempre nell'entourage di Cavour, per aiutare Cavour a convincere i francesi, come fu detto, della necessità di un intervento dell'Italia nel Congresso di Parigi. È dunque ora necessario arrivare alla missione e all'opera del Nigra diplomatico per difetto e diplomatico ufficioso durante le altre missioni della fine degli anni Cinquanta. Si osserva prima di tutto dal 1856 al 1858 una quasi frenetica mobilità di Nigra tra Torino e Parigi, un moltiplicarsi di missioni brevi, segrete o non segrete, un moltiplicarsi che dà un'idea della prossimità politica delle due capitali non solo geografiche, con incontri nel mondo della finanza, sui quali torneremo, con incontri frequenti a Torino o a Parigi per preparare l'alleanza. E qui arriva la missione famosa dell'agosto 1858, sino al gennaio 1859. L'invio di Nigra è stato presentato come la risposta ad una richiesta dell'Imperatore a Cavour, richiesta quindi, da parte di un sovrano, di un consigliere personale di fiducia. Questo è un meccanismo classico non della nuova diplomazia, ma della diplomazia di antico stampo. E quindi questo ci fa anche dire che la famosa rivoluzione diplomatica cavouriana è prima di tutto intera accettazione e padronanza dei meccanismi discrezionali legati alla volontà dei sovrani, quando possono essere utili.
Seconda osservazione sul contenuto della missione : è di fatto una missione definita nelle varie parti, nei suoi scopi e nei suoi mezzi. Qui tocchiamo anche la specificità di una diplomazia ufficiosa, che non è mai tecnicamente specializzata e che ha sempre parecchie e amplissime ambizioni. E lo fa attraverso manovre precise: il matrimonio della principessa Clotilde e del principe Napoleone, già evocato, le modalità dell'intervento francese nell'eventuale guerra con l'Austria e l'aiuto finanziario della Francia, senza evocare il ben noto ruolo della contessa di Castiglione. Napoleone III ha delle richieste finanziarie molto dure per aiutare il Piemonte, come per esempio la cessione della ferrovia piemontese, la fusione del Crédit Immobilier di Torino con quello di Parigi. Comunque noi conosciamo bene la storia del Risorgimento e soprattutto Rosario Romeo; noi sappiamo bene che solo la minaccia dell'Austria porterà Napoleone III ad essere più conciliante, dopo il mese di dicembre 1858 e dopo tutte le difficili transazioni del Nigra, e solo questo porterà Napoleone III ad accettare di dare garanzie al prestito di 50 milioni di lire, presentato da Cavour alla Camera nel febbraio 1859. Allora, se sappiamo questo, perché riteniamo l'immagine di un Nigra abile diplomatico finanziario? Secondo me per due ragioni: una è di ordine privato, Nigra ha acquisito una buonissima conoscenza dei circoli finanziari parigini e durante il periodo posteriore, nell'anno 1860, sarà sempre sempre visto e descritto in compagnia dei banchieri famosi come Delessert e soprattutto dei Rothschild. Prosper Merimée, nel suo carteggio, non manca mai di ricordare questo e lo fa in modo positivo, anche per insistere sull'inserimento nella socialità delle ditte francesi ; mentre il noto reazionario Conte Viel Castel, nelle sue Mémoires, abbina talvolta Nigra al centro di, cito “tripoteurs et tripotailleurs (giocatori d'azzardo ndr)”, il che, vi assicuro, non è rigorosamente vero.
Comunque più interessante e centrale, secondo me, è il fatto che la fama di diplomazia finanziaria di Nigra venga legata non tanto, insisto, alla questione delle garanzie del prestito, ma a quella delle condizioni finanziarie della futura guerra. E qui veramente siamo di fronte a un successo diplomatico, di diplomazia parallela del Nigra. In questo si vede proprio il suo talento diplomatico.
Cito una sua lettera a Cavour del 25 febbraio '58:
"Quanto al costo della guerra, ho detto al Principe che sarebbe stato poco onorevole per un grande Impero come la Francia di farsi pagare il soldo delle truppe da un piccolo Stato come la Sardegna. Ho aggiunto che stupisce che la Francia, che ha risorse immense, incontri delle difficoltà a procurarsi il denaro per la guerra, ed era assurdo pretendere che il Piemonte, piccolo e senza risorse, abbia a sottomettersi ad un impegno così straordinario. Infine, gli ho dimostrato l'incongruenza di tutte le sue proposte con il seguente dilemma: o la Francia viene in Italia, come ausiliaria del Piemonte e ausiliaria pagata, e allora non deve sollevare pretese per la direzione della guerra, o viene come parte principale ed interessata e allora, deve pagarsi le spese. E' tutto".
Esemplare, esemplare. Risulta di grande efficacia, questa argomentazione fondata sul duplice meccanismo; meccanismo degli effetti di dimensione, la grandezza della Francia, che parla ai francesi, e i meccanismi della razionalità politica di una guerra che non può essere guerra mercenaria per la Francia in questo periodo. Difatti Nigra offrirà la sua argomentazione al grande Cavour quando, appena tre giorni dopo, scrive in modo ufficiale, per essere trasmesso a Napoleone, il messaggio seguente :
"Per qualche centinaia di milioni, la Francia perderà tutto il vantaggio politico che deve ottenere da questa guerra".
Ritengo, come lezione, il fatto che l'argomento finanziario e quello politico camminino di pari passo, con grande rapidità in Nigra e in Cavour, con l'affermazione della superiorità però del politico. Questo uso dell'architettura politica e in parte dell'argomentazione finanziaria serve secondo me ad illustrare la forma di questa diplomazia parallela. È una diplomazia diretta, che molto diversamente dalla diplomazia ufficiale, usa in un modo quasi cinico e, diremmo, realistico, gli argomenti di politica interna dell'interlocutore. Ma vorrei chiudere questa evocazione della diplomazia parallela durante il periodo di transizione unitario con un altro riferimento, un riferimento alle tecniche di negoziazione, diciamo qui con illustri diplomatici e politici, che queste tecniche hanno subito dei cambiamenti storici. Possiamo per esempio passare dalle parole alla prassi, alla gestualità, nel carteggio della diplomazia. Nel carteggio di Nigra ci sono tracce concrete della diplomazia parallela, per esempio alla risposta di Cavour del novembre del 1858 alla lettera sulle discussioni delle famose spese di guerra. Questa risposta è composta da due lettere: una in italiano, con menzione “riservatissima”, e l'altra in francese. Molto interessante ovviamente la lettera riservatissima, nella quale si legge quello che Cavour scrive:
“Le mando – scrive a Nigra – in risposta alla Sua – una lettera se non del tutto sensibile, però almeno da poter in massima parte essere poi dopo letta dall'Imperatore e dal principe Napoleone”. Poi lui prosegue: “Lascio alla sua prudenza il decidere quello che più si convenga: o parlare senza leggere, o leggere, o lasciar leggere – questa è una metodologia del negoziato – In qualunque ipotesi, Io la prego di non restringersi ai pochi argomenti da me addotti, ma di aggiungervi tutti quelli che il suo procace ingegno, reso più acuto dalla sua devozione alla nostra gran causa, le suggerirà”.
Nella sua chiarezza abbiamo qui la piccola esposizione di una vera pratica di negoziazione, legata sia all'improvvisazione intelligente, ma con riferimento di fondo non solo retorico, sia alla superiorità dell'argomento politico della causa nazionale, dell'argomento di fondo. Costantino Nigra dopo Villafranca, come abbiamo visto, tornerà a Parigi nel febbraio 1860. Poi solo dopo l'esperienza meridionale del primo semestre 1861, dopo la nascita del nuovo Regno, Nigra fa il suo ritorno, rientra a Parigi, per andare a presentare le sue credenziali di ministro del re d'Italia. Partirà, come abbiamo visto, alla fine del 1870.
Vorrei adesso, dopo tutto questo richiamo, concludere con due lapidarie notazioni, senza toccare l'argomento dei rapporti personali con Napoleone, che tratterà l'ambasciatore Cavalchini. Due brevi notazioni, la prima: certo che l'esperienza parigina per Nigra è l'unica vera esperienza diplomatica nella carriera del Nigra, che considero poi le sue prestigiose missioni di Pietroburgo, Londra e Vienna come poco interessanti. È vero anche, se torniamo all'esperienza parigina, che c'è un contrasto tra la considerazione della sua attività positiva e intensa nella transizione unitaria, durante le sue missioni politiche semiufficiali da un canto, e la descrizione di un conformismo diplomatico e mondano e di una sottomissione alla politica di Napoleone III dopo la sua nomina a ufficiale, tra l'altro come Nigra fosse stato veramente diplomatico, e diplomatico assai efficiente ed efficace della politica italiana, prima di essere veramente nominato come ambasciatore ufficiale. È vero anche che la sua reputazione di mondanità sarà forse un argomento negativo rispetto alla sua efficacia diplomatica, pensiamo sempre all'immagine già ricordata, stamattina, se mi ricordo, del Nigra letterato, erudito, ma soprattutto del Nigra che compone la “Barcarola”, a Compiègne, mi pare, o a Fontainebleau. La questione però è semplice, è di sapere perché Nigra viene mantenuto sempre dal Re a Parigi, mentre sappiamo bene che a Torino ha un gran numero di nemici oramai, negli anni '70.
Due sono le risposte, la prima è la dipendenza ancora forte dell'Italia rispetto alla Francia e la seconda è perché Nigra poteva essere un buon alibi, una garanzia data alla Francia da un Governo sempre meno disposto a seguire le regole dettate dall'Impero. Comunque, e sarà la mia ultima notazione, sono anche da ricordare le posizioni originali e coraggiose prese da Costantino Nigra nel 1870 quando, dopo la disfatta di Sedan, pur considerando che la Francia ebbe la colpa di rompere la pace e soprattutto di perdere la guerra, lui dirà la sua profonda preoccupazione di fronte alle condizioni della pace prussiana. E lui mette in rilievo le minacce future per la pace in Europa. Cito una sua lettera, l'ultima citazione da parte mia. Qui scrisse:
“È necessario e utile alla Prussia stessa ed all'Europa che si crei una nuova questione di nazionalità? Non credo. E che si crei una nuova questione di nazionalità sulla riva sinistra del Reno e della Mosella, con l'annessione dei dipartimenti francesi? Sembra – lui continua – sembra a me che l'Europa non si mostra abbastanza previdente e che va preparando a se stessa, con la sua indifferenza, un avvenire pieno di pericoli e di momenti torbidi”.
Con questo richiamo al principio della nazionalità, ma anche con questa implicita rivendicazione di una Lega in Europa, che infatti sia proprio legata alla Francia e alle Potenze mediterranee, abbiamo forse due tra le posizioni cardinali del tempismo diplomatico di un Nigra che prima di tutto è rimasto uomo dell'Italia del Risorgimento, prima di essere amico dell'Imperatore dei francesi, anche se ciò è vero”.
I rapporti tra il Ministro Plenipotenziario d'Italia a Parigi Costantino Nigra e l'Imperatore di Francia Napoleone III
Ambasciatore d’Italia Luigi Guidobono Cavalchini – Convegno 14 aprile 2018 a Castellamonte
Costantino Nigra diventa presto il confidente intimo della politica estera di Cavour.
Bene! All'epoca, era dietro ad un paravento collocato in un angolo del suo ufficio che il Conte di Cavour osservava Nigra intento a redigere il procedimento verbale di una riunione di Gabinetto.
Dunque Nigra - è bene sottolinearlo - debutta nell'ombra, sconosciuto a tutti, prima di mostrarsi all'improvviso sulla scena politica.
Dopo l'attentato commesso da Felice Orsini a Parigi nel 1858, da cui la coppia imperiale era scampata per poco, i rapporti si erano molto incrinati tra Parigi e Torino. Nella capitale del Regno, il timore era forte che l'Imperatore si staccasse da un paese che nutriva le sue simpatie con tentativi di assassinio!
Cosa diventerà allora il Piemonte, privato dell'appoggio di Parigi ed in un contesto caratterizzato dalla rottura con Vienna e le disapprovazioni di San Pietroburgo e di Berlino verso la condotta provocatoria del Governo Sardo in rapporto all'ordine stabilito?
E' in queste circostanze che, per riguadagnare la fiducia delle Tuileries e dopo la comparsa sul Moniteur di una lettera nella quale Felice Orsini implorava l'Imperatore di "rendere l'Italia indipendente e sciogliere le sue catene", Cavour aveva dislocato Nigra presso la Corte Imperiale: fu lui che, come uomo di fiducia del Presidente del Consiglio, convinto dalla sua saggezza, dal suo tatto e della prontezza dei suoi giudizi, a preparare le basi di questo legame che doveva produrre, dopo l'incontro di Plombiéres, il disegno di uno Stato dell'Alta Italia comprendente 10 milioni di abitanti e facente parte di una Confederazione sotto la presidenza onoraria del Papa. In cambio della liberazione del Lombardo-Veneto degli Asburgo, il Regno di Sardegna avrebbe ceduto alla Francia il Ducato di Savoia e la Contea di Nizza; mentre a sigillare l'alleanza tra le due Parti sarebbe intervenuto il matrimonio tra la Principessa Clotilde ed il Principe Gerolamo Napoleone. Queste le basi dell’alleanza tra Regno di Sardegna e Impero di Francia che Nigra aveva riassunto in queste tre parole: "matrimonio, guerra all'Austria, Regno dell'Alta Italia".
Su questi tre assunti Nigra aveva tessuto l’alleanza con Napoleone III e poi seguito le note vicende che avevano interrotto la guerra del 1859, con grande scontento di Cavour. Ma dopo la scomparsa di Cavour stava a Nigra di continuare a dialogare con l’Imperatore per risolvere tre questioni fondamentali:
- Gli accordi con lo Stato Pontificio per ridurlo a “Libera Chiesa in Libero Stato”
- La liberazione di Venezia e delle Venezie
- L’occupazione di Roma capitale del Regno d’Italia
Furono questi gli argomenti principali che Nigra trattò con Napoleone III sino alla fine del suo Impero, negli anni dal 1861 al 1870.
Il primo problema era noto come la “Questione Romana”.
Per il Governo di Urbano Rattazzi, tra le varie soluzioni non molte si potevano prendere in considerazione, l'alternativa era la seguente: o lasciar fare a un Garibaldi incontrollabile, per subito prendere atto del fatto compiuto, o prendere tempo e negoziare con Parigi sopratutto per evitare che essa non mettesse un suo veto ad ogni azione che poteva considerarsi come ostile verso il Papato.
Con i Ministeri Farini e poi Minghetti, fu la via del negoziato, affidato a Costantino Nigra e Gioacchino Pepoli, ad essere scelta!
Quale era stato il cuore del dibattito? Da parte francese, si metteva l'accento sulla necessità di garantire, dopo la partenza della guarnigione militare di stanza, da quindici anni, a guardia della Città Eterna, il mantenimento del Potere temporale del Papa; tanto che i negoziati italiani esprimevano l'opinione che occorreva separare l'esercizio del potere spirituale del Sovrano Pontefice da quello del potere temporale.
A seguito della Convenzione firmata a Parigi l'8 settembre 1861 l'Italia si impegnava a non attaccare il territorio pontificio sinché la Francia non avesse ritirato le sue truppe gradualmente, vale a dire entro due anni.
Un protocollo nello stesso giorno precisava che l'esecuzione della Convenzione avrebbe avuto luogo dopo l'emissione del decreto reale che riguardava il trasferimento della capitale del Regno.
Vorrei subito sottolineare che, con la Convenzione di Settembre, l'Italia otteneva garanzie reali dalla Francia. Grazie anche al lavoro persuasivo svolto da Pepoli e da Nigra la solidarietà che univa la Francia all'Italia era considerevolmente rafforzata e, cosa importante, la Convenzione annullava in una certa misura le stipulazioni del Trattato di Zurigo.
Detto ciò, la grande emozione suscitata dalla prospettiva del trasferimento della capitale del Regno a Firenze aveva creato, sopratutto a Torino, un senso di sconcerto che era subito degenerato in sommosse popolari; tutto ciò si scontrava col recente passato in cui gli italiani avevano maturato una fiducia imperturbabile nel successo della loro politica unitaria.
Nigra, dal lato suo, aveva ben compreso che la causa principale dei malintesi, a cui la Convenzione del 15 settembre aveva dato luogo, era legata al fatto che vi erano stati uomini a cui il popolo aveva dato fiducia, dai quali si lasciava guidare ad occhi chiusi, sicuro in anticipo di venir condotto sulla via più breve per raggiungere lo scopo prefissato. Cavour sapeva bene come comportarsi in tali situazioni!
Un'ultima considerazione su questo punto. La Convenzione di Settembre, se da un lato consentiva alla Francia di ritirare le proprie truppe da Roma, dall'altra non serviva in realtà che a ravvivare nella penisola le passioni nazionali; perché, diciamo, nessuno in Italia accettava Firenze come capitale definitiva. Non era dunque che una tappa, che doveva rapidamente e sicuramente portare a Roma ma che in realtà portò a Roma soltanto dopo la caduta del 2° Impero francese avvenuto con la sconfitta di Sedan della Francia con la Prussia nel 1870 e l’esilio di Napoleone III.
Nel 1866, la notizia di Bismarck che l'alleanza con l'Italia gli sarebbe stata indispensabile per ingaggiare la guerra contro l'Austria, aveva provocato serie riserve a Firenze. Il Presidente del Consiglio Rattazzi si era posto allora la questione di sapere cosa pensava l'Imperatore in quanto - diceva - non voleva esporsi alla brutta sorpresa di trovarsi di fronte ad una Alleanza austro-francese.
Col Trattato, firmato l'8 aprile a Berlino, il Re Vittorio Emanuele si impegnava "a intraprendere la guerra contro l'Austria su iniziativa della Prussia". Moltke aveva salutato questo trattato come una condizione senza la quale sarebbe stato assai pericoloso affrontare l'Austria. Aggiungerò, interpretando il pensiero di Nigra che riportava nei suoi dispacci l'avviso favorevole dell'Imperatore purché non fosse Firenze a prendere l'iniziativa della guerra, il Trattato dell'8 aprile rappresentava una sorta di garanzia contro l'intervento fastidioso del protettore dell'Italia.
L'armata prussiana era entrata nel Sax, alleato dell'Austria, il 15 giugno. l'Italia aveva dichiarato guerra all'Austria il 20 giugno. La disfatta del 3 luglio a Sadowa aveva posto fine alla guerra tra l'Austria e la Prussia. Quanto all'Italia, dopo la sconfitta della sua armata il 24 giugno a Custoza, a cui doveva seguire il 21 luglio quella della sua flotta a Lissa, non aveva perso la speranza di poter sedere al tavolo dei negoziati di pace per reclamare, la Venezia e anche il Trentino che era considerato come una acquisizione indispensabile per garantire le sue nuove frontiere.
Nigra aveva fatto sapere che Vienna, dopo la sconfitta subita in Germania, si era indirizzata a Parigi affinché interponesse i suoi buoni uffici per indurre Firenze ad accettare una pace separata in cambio della cessione da parte della Francia della Venezia all'Italia. Dopo il nostro Capo Missione, lo scopo "diabolico" che gli austriaci inseguivano, era quello di far rientrare i propri soldati dal fronte italiano per continuare una guerra ad oltranza in Germania. Questa iniziativa avrebbe avuto come conseguenza, da una parte, di distruggere l'alleanza italo-prussiana e, dall'altra, di minare l'accordo franco-italiano. Il merito dell'Imperatore - continuava Nigra - era stato di chiedere a Vienna di includere Berlino nella proposta di pace denunciando anche la falsa manovra austriaca!
La guerra del 1866, pur con due sconfitte italiane a Custoza su terra ed a Lissa su mare, ponevano fine al dominio austriaco su Venezia che, coll’intermediazione della Francia, veniva ceduta all’Italia.
La guerra franco-prussiana del 1870, con l’abbandono francese della protezione allo Stato Pontificio, offrivano all’Italia l’opportunità di occupare Roma e di porre fine al potere temporale della Chiesa.
L’Italia unita diventava concreta realtà!
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3° articolo: Costantino Nigra: Ambasciatore in Russia e nel Regno Unito
Premessa
Conclusa la permanenza a Parigi, in conseguenza dell’avvento delle sinistre al potere in Italia, Nigra fu inviato come 1° Ambasciatore d’Italia in Russia dal Re Vittorio Emanuele II.
Nigra giunge a San Pietroburgo nel 1876 e si fa apprezzare subito per la sua grande esperienza e per il ruolo di portatore della cultura letteraria italiana, dopo quella architettonica e artistica già da tempo apprezzate. E' ambito dalla comunità locale che lo vuole sempre ad arricchire le grandi serate a corte e nella nobiltà russa.
Rimane 7 anni in Russia e poi Re Vittorio Emanuele II lo vuole a Londra, allora prima potenza mondiale, per far parte del Comitato Internazionale per il Canale di Suez che rappresentava allora l’impresa del secolo aprendo all’Inghilterra la via delle Indie.
Rappresenterà l'Italia all'incoronazione dello Czar Alessandro III avvenuta a Mosca nel 1883.
Ambasciatore d’Italia a San Pietroburgo
Nigra giunge a Pietroburgo a fine 1876 quando è in corso la guerra tra Russia e Turchia e ne segue le vicende sino al termine degli scontri quando ne dà riscontro al Ministro degli Esteri Agostino Depretis con la solita competenza in tema di politica internazionale:
“Pietroburgo, 31 dicembre 1877 (in francese)
Il Principe Gortchakoff (Ministro degli Esteri russo ndr) mi ha fatto oggi stesso la comunicazione che l'Ambasciatore di Russia ha fatto a V.E. insistendo specialmente sull'esclusione di qualsiasi mediazione. Il Cancelliere non si è spiegato né con me né con Lord Loftus (Ambasciatore inglese a San Pietroburgo ndr), né con altri sulle condizioni sia dell'armistizio sia della pace. Sua Altezza mi ha fatto sapere inoltre di uno scambio di memorie tra Russia ed Inghilterra avvenuta per il tramite del conte Schouvaloff. Nella memoria inglese Lord Derby (Primo Ministro inglese ndr) si riferiva alle assicurazioni precedenti del Principe Gortchakoff esprimenti la speranza che Costantinopoli non fosse occupata, neppure temporaneamente. Se non fosse stato così, l'Inghilterra si credeva libera di seguire qualsiasi linea di condotta che riteneva necessaria per salvaguardare i propri interessi. Nella sua risposta il principe Gortchakoff ripeté l'assicurazione precedente, ma non escludeva l'occupazione temporanea di Costantinopoli, se questo fatto era necessario per garantire la pace separata e durevole. Ma si dichiarava pronto ad intendersi con il Gabinetto inglese per salvaguardare gli interessi inglesi debitamente specificati. Gortchakoff nel trasmettere la sua memoria segnala il pericolo che la Turchia ricavi, nell'attitudine e nel linguaggio dell'Inghilterra, un incoraggiamento e delle illusioni che potrebbero precisamente rendere necessaria l'occupazione che l'Inghilterra vorrebbe evitare. Nigra”
La permanenza a Pietroburgo consentì a Nigra di tirare il fiato dopo l’intenso decennio parigino che lo impegnò a fondo per completare il sogno di Cavour di una Italia unita.
Il 1879 fu un anno di continui cambiamenti politici, con tre diversi Governi che, nella seconda metà dell’anno, si alternarono alla guida del paese: si dimetteva Depretis, gli succedeva Cairoli, il cui primo Governo entrò in crisi e poi ne ricostituì un secondo.
L’economia italiana invece aveva un momento di sviluppo, offerto da nuove tariffe doganali protezionistiche che avvantaggiavano le esportazioni, soprattutto nel settore tessile, grazie alle quali Quintino Sella, Ministro delle Finanze, riusciva, nel suo Biellese, a sviluppare un vero miracolo economico, con oltre 400 opifici nati in breve tempo.
Erano anni nei quali in Russia gli attentati si intensificavano, minacciando anche la vita dell’Imperatore che, nonostante le tante opere fatte per il bene del paese, ed il suo potere assoluto su di una popolazione di oltre ottanta milioni di abitanti, non era al sicuro neppure a palazzo.
La morte di Vittorio Emanuele II, avvenuta nel gennaio del 1878, con la salita al trono di Umberto I apriranno a Nigra nuove e grandi prospettive di carriera negli anni a venire. Mentre Vittorio Emanuele era rimasto deluso dall’atteggiamento del Nigra, che si era dichiarato contrario all’entrata in guerra dell’Italia nel 1870 a sostegno della Francia contro la Prussia, e ne aveva tutte le ragioni, Umberto I era ben conscio dei grandi servigi resi dal Nigra nel ventennio 1850-1870 e lo premiò.
Nel 1882 gli concesse il titolo di Conte e nel 1883 lo trasferì a Londra dove l’Italia aveva bisogno di un ambasciatore dalla grande esperienza e capacità. Poi più tardi gli concederà la massima onorificenza di casa Savoia, il Collare dell’Annunziata con cui diveniva cugino del Re, e la nomina a Senatore del Regno.
Con qualche piccolo rimpianto, Nigra scrisse al Ministro Mancini, nel dicembre 1882, comunicandogli la sua disponibilità al trasferimento a Londra: “Al momento di lasciare San Pietroburgo sento un vivo e sincero rincrescimento. La mia posizione qui era eccellente, l’accoglienza di questa società era stata più che cortese, cordiale; difficoltà politiche o d’altra natura non avevo affatto avuto; le relazioni ufficiali, e non ufficiali, ottime. Ora devo intraprendere una nuova vita, farmi ad altre usanze, coltivare nuove relazioni, e Dio sa con quale esito. Avrò noie che qui non avevo ed occupazioni maggiori. Tuttavia fra i tanti posti a cui potevo aspirare, quello di Londra è certamente quello che mi lusinga di più. Farò laggiù del mio meglio, ma se la sua amicizia per me Le fa dire che potrò rendere colà al nostro paese grandi servigi, la mia coscienza mi avverte che dovrò accontentarmi di renderne dei più modesti. Grandi errori non ne farò e avrò cura di vivere decorosamente e di non fare il guastamestieri. Per il resto Ella sa, per prova, meglio di me, che la nostra azione diplomatica, se può essere aiutata dalla personalità degli ambasciatori, vale però in base alla forza morale e materiale che sta dietro di loro e cioè l’autorità e la forza del Governo e del Paese che rappresentano ”.
Ambasciatore d’Italia a Londra
Londra rappresentava allora uno dei posti più ambiti da tutti i diplomatici di carriera; un posto che lusingava anche Nigra per il fascino che, cultura inglese e regime di una corona dalle tradizioni uniche, esercitavano.
Per comunicare la decisione del Re di concedergli il titolo di conte, il Ministro Depretis indirizzò questa lettera: “La Maestà del Re, volendo dare alla E.V. un attestato della sua sovrana soddisfazione pei servizi da Lei resi al paese nella sua lunga carriera, con decreto di Motu proprio in data del 21 dicembre 1882, si è degnata di concederle il titolo e la dignità di Conte, trasmissibili ai suoi discendenti maschi, in linea e per ordine di primogenitura maschile, con facoltà di usare e di trasmettere un particolare stemma gentilizio. Per mezzo di S.E. il Ministro degli Esteri Ella saprà ciò che ancora occorre fare per la registrazione del decreto di concessione alla Corte dei Conti e per la emissione delle relative Lettere Patenti ”.
E così a fine dicembre 1882, forte del suo fresco titolo nobiliare, Nigra prese possesso della sua nuova residenza di Queen’s Gate 35 a Londra. Si sentiva certamente un po’ preoccupato del ruolo che avrebbe dovuto svolgere in un ambiente qualificato e di grande esperienza come quello della diplomazia inglese, dai problemi di lingua, dal fatto di non conoscere persone ed eventi e di dover rendere comunque grandi servigi al paese.
Nigra era anche sempre più consapevole del fatto che la nostra azione diplomatica, se poteva essere agevolata dall’opera degli ambasciatori, esprimeva però la forza morale e materiale del governo e del paese che rappresentava; ed il governo di allora non dava grosse illusioni di avere la lungimiranza di un governo Cavour e la forza del Re Vittorio Emanuele.
L’Inghilterra era una nazione amica dell’Italia, da sempre.
L’opinione pubblica inglese non aveva negato il suo patrocinio nella guerra del 1859, quasi come una mamma nei confronti del proprio figlioletto che stava compiendo un atto di valore. Ma nessun popolo, come quello inglese, era più consapevole che il mantenimento della pace dipendesse dal bene supremo della indipendenza del paese ed in questa luce era stato ancora al fianco dell’Italia durante tutto il corso della epopea unitaria.
Il primo importante avvenimento londinese vide Nigra rendere omaggio alla regina Vittoria che lo ricevette al castello reale sull’isola di Wight. Così ne riferisce al Ministro degli Esteri Stanislao Mancini:
“Londra, 20 gennaio 1883 - Signor Ministro, mi pregio di informare Vostra eccellenza che ho avuto l'onore di presentare a Sua Maestà la Regina, a Osborne nell'isola di Wight, la lettera colla quale è piaciuto a Sua maestà il Re, Nostro Augusto Sovrano, di accreditarmi in qualità di Suo Ambasciatore presso questa Corte. Ho pranzato ed ho passato la notte al Castello ed ho avuto dalla Regina la più graziosa accoglienza. Sua Maestà mi ha espressamente incaricato di far pervenire alle loro Maestà, il Re e la Regina, i suoi complimenti più affettuosi. Nigra”.
Nigra non ebbe il tempo di acclimatarsi, nella nuova sede, che il Ministero lo inviò ai primi di maggio del 1883 a Mosca per rappresentare l’Italia all’incoronazione dello Czar Alexandre Alexandrovitch, Alessandro III, succeduto al padre Alessandro II, ucciso in un attentato terrorista nel marzo del 1881.
Secondo l’usanza dell’epoca, i principi ereditari regnanti avrebbero dovuto assistere all’incoronazione, ma nessuno era disponibile a rischiare la pelle in una terra lontana sotto il mirino dei terroristi, per cui avevano tutti deciso di farsi rappresentare da inviati straordinari.
Fu una cerimonia sfarzosa, una festa nazionale ed il manifesto imperiale, pubblicato quel giorno, concedeva amnistie, condoni, prescrizioni, ristabilendo un clima di distensione generale in cui Alessandro III, nella divisa imperiale, e la sua sposa Maria Feodorovna, nel costume nazionale ricamato in argento, venivano acclamati da una folla immensa che occupava tutta la piazza del Kremlino a Mosca e che esplose in fragorosi applausi al passaggio della carrozza reale, trainata da otto splendidi cavalli bianchi, e scortata da due squadroni di cavalleria sventolanti la nuova bandiera di Stato.
Il soggiorno a Mosca durò il tempo necessario per espletare le formalità diplomatiche e presentare gli omaggi ai sovrani, e quindi a fine maggio Nigra era già di ritorno a Londra.
La città di Londra era in grande espansione ed i cantieri lavoravano a pieno ritmo. I mercati all’aperto erano pieni di vita ed a Regent’s Park greggi di pecore si mescolavano alla gente che mangiava nei prati. Pur essendo rumorosa la capitale emanava vitalità: bastava fare una passeggiata sull’imbarcadero del Tamigi e guardare le decine e decine di navi a vapore che solcavano le acque, per percepire il ritmo pulsante e l’energia della City. Vicino al London Bridge fumavano le ciminiere delle fabbriche e la City of London Brewery Company lavorava giorno e notte per dissetare con la birra di propria produzione i londinesi. I treni entravano sferragliando nelle stazioni, gli omnibus a cavalli sfrecciavano sull’acciottolato e, sotto le strade, in un labirinto di gallerie, correvano i treni della London Underground, la prima metropolitana al mondo inaugurata nel 1863. Anche sui mari l’Inghilterra aveva il dominio assoluto ed il predominio nelle Indie spingeva il Governo a trovare il modo per ridurre le trasferte verso quei paesi lontani. Il grande progetto del canale di Suez, inaugurato nel 1869, che le grandi Potenze europee avevano osteggiato, ma che il Regno Unito riuscì ad attenuare, con l’intelligenza di costituire un Comitato Internazionale che ne regolamentasse il transito. Nigra fu il rappresentante italiano in quel contesto di rilevanza internazionale.
L’anno 1885 iniziò male per il governo italiano presieduto dal Depretis, che aveva nel ministro Pasquale Mancini il responsabile del dicastero degli Esteri; la sua politica di espansione coloniale infatti non incontrava i favori della Camera dei Deputati. Intuendo la caduta del governo ed essendo in gran confidenza col Re Umberto, di cui era stato maestro di scuola, il Mancini, Ministro dimissionario, pensò di interpellare Nigra per conoscere la sua disponibilità ad eventualmente ricoprire la posizione di Ministro degli Esteri per la quale, secondo il suo giudizio, aveva tutte le carte in regola.
Era una grande opportunità, sulla quale Nigra fece molte riflessioni di carattere politico; era lontano dall’Italia, salvo brevi parentesi, da ormai oltre ventisette anni; non aveva esperienze politiche e sapeva quanto delicata fosse una posizione che dipendeva dal Presidente del Consiglio e dal Governo del momento; la sua persona era ancora vista con grande diffidenza dal potere politico, che condizionava le decisioni, lasciando al Ministro scarsa libertà di operare secondo la propria logica ed esperienza.
Nigra si convinse che non era conveniente avventurarsi in un ambiente difficile ed ostile e prima che gli giungesse una proposta ufficiale scrisse al ministro dimissionario queste parole: “Ti chiedo in amicizia e molto seriamente di risparmiarmi il fastidio di dover rifiutare un’eventuale proposta del Re e del mio amico Depretis ”.
Quel capitolo si chiuse subito ma il Re, con l’accordo del neo ministro degli esteri Robilant, ne approfittò per fare a Nigra un’altra proposta che non avrebbe mai potuto rifiutare: il trasferimento alla sede diplomatica più prestigiosa del momento: Vienna!
Era un trasferimento fatto a sua misura e piacere, un posto degno dell’Ambasciatore e del Conte, una sede prestigiosa che si trovava al centro della diplomazia, della cultura, dell’aristocrazia europea.
Prima di concludere la sua attività londinese Nigra fu nominato Plenipotenziario Italiano per definire, con le altre potenze europee, un prestito di nove miliardi di sterline al Governo Egiziano che intendeva acquisire la maggioranza nella gestione del canale di Suez.
Per i suoi meriti culturali, che aveva avuto modo di dimostrare negli ambienti più impegnati della letteratura e filologia applicata, Nigra ebbe anche a ricevere, dall’Università di Edimburgo, la laurea Honoris Causa per i suoi studi letterari e sui canti popolari piemontesi che anticipavano la stampa della prima edizione che sarebbe avvenuta di lì a qualche anno.
Nigra lasciava Londra a malincuore, perché colà non aveva avuto alcuna difficoltà politica e sociale; ma l’idea di Vienna, pur nell’incertezza del ruolo che avrebbe dovuto sostenere in una sede così difficile ed impegnativa, lo eccitava e gli dava nuove sensazioni.
⁂
4° articolo: Costantino Nigra: Il culmine della carriera nella capitale della diplomazia europea: Vienna
Introduzione
A fine ottobre 1885 il neo ministro generale Robilant fece pervenire a Nigra questa lettera:
“Caro Nigra, il giorno stesso in cui accettai il portafoglio degli Affari Esteri, mi preoccupai immediatamente della nomina del mio Ambasciatore a Vienna, sede che avevo occupato sino ad allora e che, con la mia nomina a Ministro, lasciavo vacante. Feci oggetto di attento esame il ruolo del nostro alto personale diplomatico, studiai le varie candidature possibili fra gli uomini politici, ed il risultato di tutto quel lavoro mentale fu quello di convincermi che la persona più conveniente, più appropriata per quel posto nelle attuali gravi condizioni, siete Voi caro Conte. In tal senso sto per avanzare la mia regolare proposta a Sua Maestà; prima però mi piacerebbe ricevere da Voi la conferma che di buon grado accettate quel trasferimento o che almeno, nell’interesse del Re e dell’Italia, vi piegate, con la voluta rassegnazione, ad obbedire al vostro destino. Supposto che si tratti di grave sacrificio per Voi, mi permetto pregarvi di osservare che ho qualche diritto di chiedere ad altri un sacrificio e mi sia lecito aggiungere che, da quanto intesi da Sua maestà, tale diritto mi spetterebbe ancora di più nei vostri riguardi! Facendo però astrazione da ogni altra considerazione, mi lusingo pensare che accetterete di buon grado, animato dal convincimento che in quel nuovo vostro posto avrete occasione di rendere, nelle presenti contingenze, indubbi servigi al paese. L’elettissimo vostro ingegno, la grande esperienza, l’abilità diplomatica e la fermezza all’occorrenza, sono eminenti qualità che possedete in sommo grado e che tutti in Italia ed all’Estero vi riconoscono. Ai miei occhi nessuno è dotato, in più alto grado di Voi, di tutte quelle qualità che, nelle presenti circostanze ed in altre non lontane a verificarsi, reputo indispensabili a chi deve andare a rappresentare l’Italia a Vienna, nella nuova fase in cui siamo entrati. Altro non aggiungo perché sarebbe superfluo, con un uomo di mente sì elevata qual è la vostra e di tanta provata devozione alla Dinastia ed al Paese. Aspetto la Vostra risposta con piena fiducia ”.
La sede prestigiosa, l’incarico importante, la rinnovata fiducia da parte del Governo e del Re costituivano un richiamo forte a cui non potevo resistere.
Dopo la sua accettazione il Re in persona, il 1° novembre gli scrisse:
“Nell’apprendere la scelta, non tardo ad esprimervi, caro Conte, tutta la mia soddisfazione ed i miei ringraziamenti per questa nuova prova del vostro patriottismo e della vostra devozione e vi assicuro che, oltre ai vostri buoni servizi, apprezzo altamente, soprattutto in queste circostanze, la vostra nobilissima condotta ”.
Qualche giorno dopo il ministro Robilant mi comunicava che anche l’Imperatore Francesco Giuseppe, il rivale delle tante nostre lotte per l’indipendenza, accettava con piacere la mia nomina che mi giungeva, ufficialmente, con regio decreto del 10 novembre 1885.
Iniziava la fase della sua maturità, in cui poteva dedicarsi alle attività diplomatiche con la tranquillità dell’esperienza e senza affanni, ed anche alle attività culturali, per le quali sentivo ancora di poter dare un contributo importante.
Splendidi e grandi ambasciatori aveva avuto l’Italia a Vienna dove le grandi potenze avevano piazzato i loro assi come il principe di Reuss, rappresentante dell’Imperatore di Germania, il conte Kapnist, ambasciatore della Russia, mentre Francia, Spagna e Romania erano rappresentate dal marchese di Reverseau, da un Merry del Val e da un principe di Ghicha, personaggi tutti di grande spicco.
Erano tempi quelli in cui le casate dai nomi altisonanti non avevano ancora ceduto le loro fastose ricchezze alle classi borghesi e segnatamente a quelle israelite, e continuavano ad esercitare, insieme a quella mondana, una funzione politica ponte, tra la tendenza regionalista e l’accentramento imperiale metropolitano. A questi l’Imperatore Giuseppe II, non volendo lasciar decadere gli antichi aristocratici e investendoli anzi di nuovi diplomi e privilegi, aveva loro imposto di svernare a Vienna in palazzi di loro proprietà. E oggi ancora qualche testimone, bianco di capelli, poteva nostalgicamente rammentare quelle solenni adunanze di boyari polacchi, eredi delle dinastie di Transilvania, dei magnati d’Ungheria, dei signori del Goriziano e delle valli alpine, dei patrioti di Trento, dei prìncipi latifondisti di Boemia, confusi con le deputazioni del popolo negli stessi pittoreschi costumi che esprimevano, al momento, intorno all’Imperatore Francesco Giuseppe, ed alla sua sposa Elisabetta, Sissy, una solidarietà d’interessi economici e politici che si ponevano al di sopra degli stessi conflitti di razza e di classe. Alcune famiglie poi godevano di un autentico potere rappresentativo, come i principi di Fűrstenberg che, sedendo per diritto di nascita in quattro senati diversi, Vienna, Berlino, Stoccarda e del Baden, erano divenuti gli intermediari confidenziali fra il Kaiser di Germania e l’Imperatore d’Austria. Né i diplomatici cortigiani consistevano allora in una semplice funzione onorifica: il maresciallo della corona di Boemia, principe Lobkovitz, possedeva tali e tante estensioni di terreno da potersi considerare signore del paese.
Da Vienna Nigra esprime tutta le sue competenze di politica internazionale e in una lettera al Generale Robilant del 14 febbraio 1886 dà dimostrazione della sua eccezionale competenza diplomatica e conoscenza della politica europea:
“L'imperatore è nervoso, impaziente degli indugi che si frappongono alla conclusione della pace e alla soluzione bulgaro-rumeliota, e di cattivo umore anche per gli affari interni dell'Impero. Gli spiacque sopratutto, e c'è di che, la risoluzione presa dal club tedesco della Camera (ella sa che cosa è questa fazione parlamentare) per applaudire ai provvedimenti anti-polacchi del principe di Bismarck e ai ricorsi con cui li annunziò il 28 e il 29 gennaio scorso. La manifestazione del club tedesco provocò naturalmente manifestazioni in senso contrario nelle altre fazioni parlamentari e anche nella Polonia austriaca, e la stampa per due settimane si occupò qui quasi esclusivamente di questa questione.
Le parole e gli atti del principe di Bismarck intorno a quest'affare oltrepassarono i confini prussiani e germanici e vennero a colpire successivamente il ministro Taaffe e la sua politica. Io non so se vi sia qualche cosa d'intenzionale verso l'Austria e i suoi Ministri in queste risoluzioni antipolacche del principe di Bismarck. Ammetto come possibile che, secondo il solito, il cancelliere germanico abbia scelto la sua via, senza preoccuparsi degli effetti che nel percorrerla può produrre a danno altrui, purché giunga allo scopo che si propone, e che in questo caso è quello di d'impedire il regresso della nazionalità germanica nella Prussia orientale. Ma il fatto è che in tutto l'Impero austro-ungarico se ne sentì vivamente il contraccolpo, e si sente ancora.
Mi si dice anche che Kalnoky abbia un pò perduto nella considerazione e nella simpatia del principe cancelliere.
Certo è che gli ungheresi, i quali si appoggiano specialmente sulle simpatie germaniche, non amano il Kalnoky, e vorrebbero che lasciasse il posto ad altri, senonché temono che il successore possa essere Kallay, che vogliono anche meno del Kalnoky. Quanto all'Andrassy l'opinione generale è che l'Imperatore non faccia conto di chiamarlo di nuovo presso di sé; Andrassy è un personaggio troppo considerevole perché l'Imperatore si senta interamente a suo agio avendolo al suo fianco. Voglio sperare che Kalnoky rimanga. Non ho che a lodarmi di lui personalmente. E quanto agli affari, se lo si può accusare di una certa lentezza, bisogna poi riconoscere che ha le qualità di questo difetto, cioè la prudenza e una grande freddezza di spirito, il che non è senza gran valore in un uomo di Stato. Ma ritorno per poco al Bismarck. Piccoli, ma numerosi indizi fanno nascere il sospetto che l'alleanza austro-germanica non sia più così solida come uno o due anni fa. Io veramente non vedo ancora prova positiva di un'intenzione del principe di Bismarck di lasciare l'Austria per la Russia, giacché il fatto delle disposizioni anti-polacche nella Prussia orientale, determinate in uno scopo di politica nazionale germanica, può essere non intenzionalmente diretto contro l'Austria. Motivi di ben altra importanza possono cagionare un cambiamento di alleanza. Questi motivi non sono immediati ma non bisogna perderli d'occhio.
Li accennerò qui assai brevemente, non amando molto fare, nella mia corrispondenza, ciò che si chiama politica speculativa.
Il giorno in cui il principe di Bismarck si risolse ad inaugurare la politica coloniale germanica, egli ha dovuto, passarne in previa rassegna le conseguenze.
Queste mi sembrano chiare. O la politica coloniale germanica è destinata a naufragare interamente, e allora la politica delle alleanze può continuare tal quale. Ovvero quella politica coloniale riuscirà, e in questo caso la Germania si troverà forzatamente in lotta perpetua, accanita colla Gran Bretagna in tutti i mari del globo. La Germania non può riuscire a formare un impero coloniale che battendo in breccia l'edificio coloniale inglese e surrogandolo. Indi la lotta, che attesa la particolare tenacia delle due razze, sarà molto seria e molto lunga.
La Germania in questa lotta sarebbe certamente battuta se si trovasse senza alleati potenti. Qual'è ora l'alleato efficace contro l'Inghilterra? Certo non l'Austria, ma la Russia. Basta per ora di ciò. I tempi non sono maturi. Ma intanto è di grande, di capitale interesse per noi lo stare attenti e notare ogni sintomo d'un cambiamento anche leggero nelle disposizioni dei due Imperi alleati. Badi a Berlino e badi a Pietroburgo. Io qui aprirò gli occhi quanto potrò.
A Vienna sono nuovo al posto, e molte cose possono sfuggirmi. Del resto non è di qua che verrebbe il segno d'una disposizione contraria all'alleanza. L'Austria approfittò e approfitta troppo di questa alleanza colla Germania, perché pensi a svincolarsene; tanto più poi ha interesse a continuarla, quanto minori sono le probabilità per essa e l'utilità di altre alleanze. La Germania sa a chi dirigersi per un'altra alleanza, e ha d'innanzi a se uno scopo chiaro e preciso. L'Austria sarebbe molto più imbarazzata a mettersi per altra via, che potrebbe essere assai pericolosa. Perciò i sintomi significativi di cambiamento se si produrranno, saranno più visibili a Berlino e a Pietroburgo che a Vienna. Il Gabinetto di Pietroburgo, il che vuol poi dire l'imperatore Alessandro, è specialmente interessante da studiarsi in questo momento. Le sorprese verranno di là. In uno degli ultimi telegrammi ella definiva chiaramente le questioni che aspettano una soluzione: l) pace tra la Serbia e la Bulgaria; 2) assegnamento della Rumelia orientale; 3) agitazione in Grecia.
La prima questione non presenta difficoltà serie. Un pò di buona volontà, e una parola risoluta detta dall'Austria alla Serbia, e dall'Inghilterra alla Turchia, bastano ad effettuare la conclusione della pace. La questione delle agitazioni, degli armamenti e delle pretese della Grecia è più difficile. Non lo sarebbe, se le Potenze fossero unanimi. Sventuratamente non lo sono. I greci lo sanno e speculano sulle simpatie francesi, sul filellenismo di Gladstone, sulla protezione russa. Si sono armati fino ai denti, hanno speso più di quanto possono sopportare. Capisco che sia molto dura per essi il disarmare e tornarsene dalla frontiera colle trombe nel sacco.
Pur tuttavia, se non giungono nuove defezioni nell'azione collettiva delle Potenze, si potrà evitare il conflitto greco-turco, conflitto che potrebbe ora essere disastroso per la Grecia. Ad ogni modo, per ciò che ci spetta, noi possiamo aver la coscienza d'aver fatto tutto ciò che dipendeva da noi per evitare la conflagrazione.
Rimane la questione bulgaro-rumeliota. Qui mi permetto di essere un pò meno ottimista di lei. Non vedo una difficoltà assoluta nella clausola dei cinque anni. Non vedo nemmeno una difficoltà assoluta nella clausola che si riferisce alla Commissione d'organizzazione. La vera, la grande difficoltà, agli occhi del Governo russo, sta nel patto d'alleanza difensiva tra la Bulgaria e la Turchia. Si ha un bel dire che questo patto d'alleanza scaturisce naturalmente dalla condizione reciproca di sovrano e di vassallo dei due contraenti. In diritto la cosa non è contestabile. Ma è molto contestabile che la Russia, la quale ha sacrificato alla liberazione dei bulgari dalla Turchia 100mila uomini e parecchie centinaia di milioni, condiscenda a mettere la sua firma sotto un patto d'alleanza fra bulgari e turchi. Per chi conosce l'imperatore Alessandro è difficile il credere che ciò accada, e in ciò è concorde l'opinione della Russia intera. La Russia, non solo non vuole ammettere che la forza offensiva e difensiva della Turchia si aumenti a sue spese; non vuole che i sacrifici da essa fatti per la liberazione dei bulgaro-rumelioti non siano inutili per lei.
In sostanza essa vuole avere nella Bulgaria una spada, di cui essa possa dirigere la punta, e non ammetterà che questa spada sia in mano alla Turchia o ad un principe indipendente, e che se ne possa dirigere la punta contro di lei.
Qui sta veramente il nodo. La Russia potrà accontentarsi ora d'una transazione, forse. Ma non abbandonerà la risoluzione d'avere in Bulgaria e nella Rumelia un principe che le sia ligio. Chi possa essere, nei desideri della Russia, questo futuro principe, non è oramai mistero per nessuno. Basta il riflettere adesso alle accoglienze più che regie e imperiali che si fanno in Russia al principe di Montenegro per persuadersi che l'imperatore Alessandro conta su di lui nel giorno dei conflitti e delle decisioni finali. Dunque in questa questione Io non ci vedo ancor chiaro. A Berlino si ha certa ripugnanza a pesare sulla Russia, perché là, meglio che altrove, si conoscono le tendenze intime del palazzo Anitchkoff (Palazzo di San Pietroburgo sede del Governo ndr). Certo, se si potesse addirittura proclamare l'unione e l'indipendenza assoluta dalla Turchia delle due provincie bulgare, si avrebbe la probabilità di ottenere l'assenso della Russia, anche col mantenimento del principe Alessandro, salva sempre la speranza nel Governo russo di surrogare più tardi quest'ultimo se continuerà a dispiacere. Vero è che la Turchia non darebbe il suo consenso e che Serbia e Grecia strillerebbero più che prima.
Ma l'unanimità delle Potenze avrà in breve ragione di tutto ciò. Senonché questa unanimità, che non è esistita finora, sarà ben difficile da ottenersi per l'avvenire e per questa soluzione. Eppure la soluzione, mi pare, sta là.
C'è ancora un'altra soluzione ed è che vi sia esecuzione all'accordo turco-bulgaro in via di fatto, senz'altro, e senza aspettare la sanzione delle Potenze, la quale verrà poi, o non verrà. Ed è ciò che sta precisamente effettuandosi in questo momento. La clausola transitoria, la migliore dell'accordo, legittima pienamente questo modo di procedere.
Qui si è piuttosto increduli intorno alla velleità bellicosa e agli armamenti della Serbia e della Bulgaria. Si crede che non muoveranno un dito né l'una né l'altra. Khevenhtiller è stato chiamato qui e arriva oggi, e credo sia stato chiamato appunto per sapere esattamente quello che vi può essere di vero in questi rumori di armamenti nuovi della Serbia.”
Il Ministro Robilant gliene riconosce la profondità di pensiero e nel ringraziarlo lo prega di continuare a dargli i suoi consigli.
Anche Francesco Giuseppe, nemico di tante battaglie tra Austria e Italia, aveva grande stima del Nigra.
Francesco Giuseppe aveva un’ anima burocratica che sentiva impregnata di crisma divino e che non ammetteva potesse venir sfiorata da critiche e da obiezioni. Esigeva, da tutti coloro che lo circondavano, le virtù del soldato e del gentiluomo e rispettava anche il nemico più acerrimo, purché si comportasse con onestà e correttezza. Questo spiegava l’alta considerazione avuta nei confronti di tutti gli ambasciatori italiani che mi avevano preceduto e che ora riservava a me; avevo in più un merito, quello di essermi conquistato la popolarità che avevano avuto i grandi ambasciatori delle grandi potenze, pur essendo ambasciatore di un piccolo Stato che avevo contribuito a far diventare una nuova grande potenza.
In queste manifestazioni di ammirazione, però, Francesco Giuseppe non tradiva mai il suo burocratico rispetto per ogni tipo di protocollo.
Quando ricevette Nigra, insieme al corpo diplomatico accreditato a Vienna, per gli auguri del Capodanno 1886, com’era tradizione, egli iniziò la conversazione col decano dei diplomatici, il Nunzio Apostolico del Papa, discorrendo in lingua italiana; ma appena fu vicino al Nigra ricorse immediatamente alla lingua diplomatica, quella francese, a sottolineare la diversa considerazione delle due ambascerie che giungevano da Roma.
La permanenza a Vienna fu caratterizzata da gravi avvenimenti che toccavano la famiglia imperiale.
A fine gennaio 1889 un avvenimento tragico turbò gravemente il clima di corte ed impressionò l’opinione pubblica di tutti i paesi; il principe ereditario d’Austria Ungheria, Rodolfo, figlio primogenito di Francesco Giuseppe, veniva trovato morto, insieme alla sua amante, la baronessina Maria Vétzera, nella stanza da letto del suo castello di caccia a Meyerling. Si parlò di assassinio e di doppio suicidio, ma nessuno potè mai capire la dinamica dell’incidente; l’unica cosa chiara era il fatto che il principe era in contrasto continuo con la moglie Stefania, con la quale aveva frequenti scene di gelosia dovute all’indole donnaiola di Rodolfo, di cui tutta Vienna parlava. Dopo il tragico avvenimento fu richiesto al Nigra, dal ministro Crispi, un rapporto dettagliato sull’accaduto e Nigra dovette ammettere che il mistero era fitto e senza una verità chiara; aggiunse più tardi altri particolari che erano emersi da indagini successive ma che, comunque, non chiarivano il mistero di quelle due morti. I due amanti passarono insieme le notti del 28 e del 29 gennaio; il martedì 29 mattino l’arciduca non prese parte alla caccia programmata e fece dire al duca Filippo di Coburgo ed al conte Hoyos che andassero a cacciare senza di lui. Dopo la caccia, nel pomeriggio, l’arciduca, che avrebbe dovuto fare ritorno a Vienna per una cena di famiglia, pregò il duca Filippo di scusarlo presso l’Imperatore e l’Imperatrice. La caccia avrebbe dovuto ricominciare di buon’ ora il mattino seguente, mercoledì 30. L’Arciduca passò ancora quella notte con la baronessina, dopo aver trascorso la serata alla presenza del suo cocchiere Bratfisch, che era un bravo cantante musicista. Alle prime ore dell’alba si verificò la tragedia della duplice morte. La giovane morì per prima perché fu trovata composta nel letto con le mani incrociate; l’arciduca invece pendeva con la parte superiore del corpo fuori dal letto. Nessun testimone era presente ed i motivi delle morti rappresentarono un segreto probabilmente sepolto nelle due tombe. La stampa ufficiale parlò dell’accaduto, ma la sepoltura della giovane venne tenuta segreta ed effettuata nottetempo. L’autopsia rivelò che la ragazza non era incinta. Nigra ebbe la penosa missione di assistere, come delegato speciale del Re, alla mesta cerimonia dei funerali.
In quel periodo i mutamenti nell’ indirizzo politico italiano causarono proteste dei circoli viennesi e berlinesi, che si accentuarono nel settembre 1898 quando l’Imperatrice d’Austria Elisabetta fu uccisa in un attentato, a Ginevra, per mano di un anarchico italiano, certo Luigi Luccheni, che le inferse una pugnalata mortale mentre l’Imperatrice si avviava ad imbarcarsi su di un battello nel lago Lemano.
Era il terzo grave avvenimento che colpiva l’Imperatore Francesco Giuseppe dopo la morte della moglie, del fratello Massimiliano in Messico e quella del figlio Rodolfo. Ma Francesco Giuseppe aveva un carattere di ferro che resse il ripetuto profondo dolore.
Altri problemi nascevano in tutta la penisola balcanica dove moti insurrezionali e malgoverni locali impensierivano Francesco Giuseppe, che aderì per primo all’appello dello Czar Nicola II Romanoff, succeduto ad Alessandro III, per una conferenza rivolta a favorire il mantenimento della pace ed il disarmo, conferenza che fu fissata a L’Aia per il luglio 1899 ed alla quale aderirono ben 26 paesi tra cui l’Italia, che delegò Nigra come suo Capo Delegazione.
Lo Czar Nicola II ebbe una parte determinante nello sviluppare una politica di pacificazione in Europa ed il suo successo personale nella riuscita della Conferenza di Pace all’Aja mi convinse, due anni dopo, nel 1901, a proporlo, alla Commissione Norvegese incaricata per l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace di quell’anno; un riconoscimento ad un uomo mite, assai sensibile alle necessità dei popoli, che si era fermamente impegnato a promuovere la pacificazione europea.
Nigra ebbe anche l’importante riconoscimento, da parte dell’Europa tutta, perché fu nominato Presidente della Commissione della Redazione degli Atti del Congresso e questo rappresentò il culmine della sua carriera, il riconoscimento da parte della Grandi potenze della sua carriera, della sua profonda conoscenza della politica e dei fatti del diciannovesimo secolo.
Il riconoscimento che era stato il più grande ambasciatore dell’Italia e decano degli ambasciatori di tutta Europa con una carriera che era durata cinquant’anni, forse un record di durata e di eccellenza, come aveva sottolineato Francesco Giuseppe nell’accogliere Nigra a Vienna come rivale onesto del passato e rappresentante valente della nuova Italia.