Foto Costantino Nigra

Costantino Nigra

(Villa Castelnuovo 1828 – Rapallo 1907)

Patriota, Ambasciatore a Parigi, San Pietroburgo, Londra e Vienna, 8 volte Ministro Plenipotenziario, Senatore del Regno, Statista di livello europeo, Grande Ufficiale dello Stato, protagonista del Risorgimento ma dimenticato dalla storia d’Italia.

Una figura poco conosciuta  ma un personaggio che, ad un esame attento, si presenta ogni volta di più in una luce straordinaria sia sotto il profilo politico-diplomatico che sotto quello letterario-culturale come dimostrano le molte attestazioni al volume recentemente pubblicato su Nigra ed alle conferenze divulgative condotte in oltre 50 comuni e associazioni culturali italiane.

Nigra è stato, con Vittorio Emanuele II, l’unico protagonista ad aver vissuto in prima persona le vicende politico diplomatiche di tutta l’epopea risorgimentale dal 1848 al 1870.

 

Il Diplomatico

La carriera di questo brillante giovane, nativo di Villa Castelnuovo, in Valle Sacra all’epoca provincia di Aosta, è straordinaria. Ne percorrerà rapidamente i vari scalini che lo vedranno nell'elenco dei principali interpreti della diplomazia europea dell'ottocento.

Dopo aver combattuto alla prima guerra di Indipendenza del 1848 nella compagnia degli studenti universitari, ed essersi laureato in legge, entra nel 1851 (a 23 anni), come volontario al Ministero degli Esteri dove fa la sua prima conoscenza importante, Massimo D’Azeglio. L’allora Primo Ministro, avendone capito le grandi capacità intellettuali, lo prende immediatamente a benvolere e pochi mesi dopo lo invita addirittura al matrimonio della figlia Alessandrina (un piccolo borghese in un contesto nobiliare!). Un’occasione d’oro per sfoggiare le sue capacità poetiche con un Epitalamio in endecasillabi sciolti che suscita l’ammirazione del nonno e testimone della sposa, niente popòdimeno che Alessandro Manzoni. Ma subito dopo incontra il Ministro Conte Camillo Benso di Cavour che resta colpito dalla sua capacità letteraria, dalla immediatezza con cui traduce concetti in scritti, lettere e memorie, dall’instancabilità nel lavoro e lo prende con sé al Ministero dell’Agricoltura. Poi Cavour diventa Primo Ministro e Nigra diventa il suo insostituibile e irrinunciabile braccio destro, capace di suggerire ed anche di correggere.

Da quel momento inizia una escalation straordinaria: a 25 anni è nominato dirigente del Ministero Esteri; a 27 anni diventa Capo di Gabinetto di Cavour; a 28 è Console di 1° classe nella carriera diplomatica; a 32 anni è Ministro Plenipotenziario; a 33 anni è Governatore delle Province Napoletane; a 34 anni viene nominato Ambasciatore a Parigi; poi Ministro Plenipotenziario per la Convenzione Monetaria Europea e per la Conferenza Metrica Internazionale; quindi Ambasciatore d’Italia a San Pietroburgo, Londra e Vienna; a 62 anni è nominato dal Re Umberto I Senatore del Regno e conclude formalmente a 71 anni la sua carriera diplomatica come Ministro Plenipotenziario e Capo delegazione Italiana alla Conferenza Internazionale per la Pace all’Aja.

Dovunque passava, che incontrasse semplici cittadini o Re e Imperatori, lasciava sempre nell’animo dei suoi interlocutori un’impressione di ammirazione per il suo parlare forbito, il suo sfoggio di cultura, i suoi suggerimenti intelligenti, la sua grande affabilità.

Si guadagnò, per i suoi meriti di servitore della patria e dei Re di Casa Savoia, il titolo nobiliare di Conte del Predicato di Villa Castelnuovo.

Ebbe oltre ottanta onorificenze, le più alte sia a livello nazionale che internazionale  tra cui brilla il collare della S.S. Annunziata con cui il Re Umberto I lo elevò al rango di proprio cugino facendogli fare ufficialmente ingresso nella famiglia reale.

Alfred Stirling, funzionario dell’Ambasciata inglese prima e di quella Australiana poi, a Roma per oltre 35 anni, afferma nel suo libro “The Italian Diplomat” (Il Diplomatico Italiano) che Nigra è stato il numero uno della Diplomazia italiana di tutti i tempi e che a lui doveva essere intitolato il Palazzo della Farnesina quando il Ministero degli Esteri Italiano fu colà trasferito dalla vecchia sede di palazzo Chigi.

Di tutta la sua lunga carriera diplomatica Nigra mantenne sempre, come si confà ad un vero diplomatico (cresciuto alla Scuola di Cavour), la riservatezza più assoluta. Negli ultimi vent’anni di vita volle scrivere le sue memorie diplomatiche curandone la stesura con grande impegno storico documentativo. Questo documento, di straordinaria importanza, era ritenuto da Nigra assai delicato, per i contenuti che potevano mettere in grave imbarazzo i protagonisti ancora viventi (tra cui l’autore); dichiarò che queste memorie avrebbero potuto venir pubblicate soltanto molti anni dopo la scomparsa di tutti i protagonisti delle vicende narrate. Questo documento, scritto di proprio pugno in circa 30 capitoli fitti di notizie che raccontavano la politica italiana dal 1855 al 1890, è scomparso e, dopo la morte del Nigra, non fu mai ritrovato. Chi sostiene fosse stato bruciato dall’autore, tesi facilmente confutabile; chi sostiene (io sono tra questi) che fu nascosto dal figlio Lionello, a cui il Nigra consegnò i manoscritti, e dopo la sua morte, avvenuta un anno soltanto dopo quella del padre, i documenti non furono più trovati; chi ancora sostiene che furono requisiti, durante il periodo fascista, dal Ministero degli Interni e occultati in qualche archivio a Roma. E’ un mistero affascinante che tiene gli studiosi del Nigra (ma anche gli storiografi del nostro paese) appesi ad un filo nella speranza di veder riapparire quegli scritti che rappresenterebbero una fonte eccezionale di notizie inedite sul processo di unificazione del nostro paese.

Una carriera insomma, lunga, assai dignitosa e grandemente meritevole per il successo del nostro Risorgimento, di cui Nigra fu certamente tra i principali protagonisti.

 

L’Etnologo ovvero lo studioso del folklore

L’ Etnologia è la scienza che studia la cultura umana, con particolare riguardo ai popoli senza scrittura. Nigra, nella sua lunga e intensa carriera diplomatica seppe trovare tempo da dedicare a studi fondamentali per la conoscenza dei nostri antenati, attraverso la raccolta dei canti popolari che si tramandavano per tradizione orale da padri a figli, dettando anche regole di trascrizione che rimangono, ancora oggi, capisaldi di questa importante branca del sapere umano. Il volume dei Canti Popolari del Piemonte, raccolti nell’arco di tempo che va dal 1844 (Nigra ancora ragazzo) al 1887, fu pubblicato per la prima volta nel 1888 e rappresenta una vera pietra miliare dell’etnologia italiana che gli ha dato lustro sino ai giorni nostri e, come scrive l’illustre etnologo musicologo Leone Sinigaglia, sono “opera di capitale importanza per lo studio della canzone popolare piemontese, di cui dobbiamo essere orgogliosi”.

Questa pubblicazione raccoglie 153 canzoni popolari, 16 orazioni religiose e poi cantilene, rime infantili, giochi e 200 tra strambotti e stornelli. Tutti questi testi sono accompagnati da una traduzione letterale, un repertorio di varianti, un commento filologico, storico e comparativo.

L’importanza del libro nella storia degli studi folkloristici italiani non è minore dell’interesse che esso offre per il lettore d’oggi, che viene introdotto in un mondo affascinante di leggende storiche (dalla Donna Lombarda all’ Assedio di Verruca, dall’ Assedio di Torino alla storia di Carolina di Savoia) e ritrova canzoni ancora ben vive nella tradizione popolare come “La sposa morta” “La pastora fedele” “L’uccellino del bosco” e tante altre.

Se si pensa alla mole del volume, di circa 800 pagine, al fatto che il grosso del lavoro di raccolta fu compiuto dal Nigra mentre si trovava Ambasciatore a San Pietroburgo, alla profondità e articolazione dei commenti aggiunti dall’autore, riesce ancora più facile comprendere la grandissima fatica compiuta nel dare alle stampe un opera che, nelle intenzioni del Nigra, avrebbe dovuto essere ancora più corposa.

Nigra si avvalse, per raccogliere i testi delle canzoni, di uno stuolo di oltre trenta collaboratori tra cui spiccano nomi illustri quali quello di Giovanni Flechia, professore di sanscrito, di Domenico Carbone e Domenico Buffa, letterati e politici oltre a tanti parenti, amici e colleghi.

Dei Canti Popolari furono pubblicate molte ristampe ancora in anni recenti.

Il grande antropologo Giuseppe Cucchiara (autore della Storia del folklore in Europa), che firmò l’edizione del 1957, quella del cinquantenario della morte del Nigra, ebbe a scrivere nella presentazione del volume che “ E’ merito del Nigra di aver fissato per primo in Italia il processo della rielaborazione quale si configura nella fenomenologia della poesia popolare e senza il quale non sarebbe ormai più possibile capire o definire la stessa poesia popolare”.

Un grande merito quindi per un grande studioso di una scienza che nasce nella notte dei tempi grazie alla fantasia di un individuo e poi si modifica continuamente con  molteplice apporto di una collettività che contribuisce a farlo vivere, a rinnovarsi, a perfezionarsi mantenendo intimi legami con la cultura del popolo autore e conservatore.

 

Un Poeta di grande valore

La poesia, salvo quando tratta i grandi temi universali, sempre uguali in tutte le epoche dell’uomo, non può mai prescindere dal momento storico in cui viene creata e dal conseguente stato d’animo del suo compositore.

Costantino Nigra è stato uno dei più convinti ed efficaci artefici dell’Unità d’Italia e pertanto alcune delle sue poesie più celebri risentono del suo spirito guerriero e dell’amor patrio da cui sono state dettate. Sentimenti però che, a nostro parere, non riescono mai a spegnere del tutto l’estro lirico dell’autore.

Nella maturità poi, una volta attenuata l’eco delle trombe e scomparso l’ondeggiare dei vessilli, il Nigra, precedendo di poco la tendenza del Novecento, si ripiega su se stesso e nascono composizioni più intimiste e quiete, con ben altri temi e motivazioni, ed anche la poesia si avvantaggia raggiungendo mete di superiore altezza.

In ogni caso, nelle une come nelle altre, non viene mai meno il magistero del fine letterato, cultore della forma oltre che del contenuto, tanto che, ove questo attenui la sua forza, l’altra sopperisce con risultati apprezzabili.

Come si è detto nella prefazione, le poesie sono state divise in quattro gruppi.

Il primo comprende diciassette componimenti di varia natura e di date anche molto lontane fra loro. Tra di essi vi è la prima poesia ufficiale del Nigra, l’ “Epitafio d’un amore”, scritta a 17 anni durante il Liceo ad Ivrea nel ricordo di una fanciulla che pare lo avesse abbandonato (una delle poche!).

Tra gli altri componimenti spiccano la romanza “Al mio cavallo” e soprattutto la celeberrima “Barcarola” (che, come vedremo, si chiamava in origine “La Gondola”) scritta per l’Imperatrice Eugenia in favore della liberazione di Venezia, e che suscitò grandi entusiasmi. Vi sono comprese anche le quattro poesie che abbiamo scoperto recentemente:

la canzone “All’Italia” del 1848, uscita su La Gazzetta del Popolo di Torino il 2 luglio 1907, l’ “Epithalamion” del 1851, un imeneo in ben puliti versi latini pubblicato sulla rivista Il Baretti del 6 gennaio 1876, l’elegia “ A mia madre” pubblicata in cartolina nel 1928 e “La romanza di Tristano e Isotta” pubblicata nel 1897 su Nuova Antologia.

Gli altri componimenti, di diverso argomento e metro, non aggiungono molto alla fama del poeta, ma vi si nota una sicura padronanza del verso e, sparse qua e là, felici intuizioni di un romantico che, anche nei momenti meno impegnati o meno felici, riesce, se non a provocarci emozioni, ad essere almeno gradevole al nostro orecchio.

Il secondo gruppo contiene i tre importanti carmi in versi sciolti che gli diedero, ai suoi tempi, autentica fama.

In essi vi è la prima poesia veramente impegnativa del Nigra:

Per le nozze di Alessandrina d’Azeglio con il marchese Matteo Ricci” del 1852, di raffinata eleganza e di gusto sicuro, lodata anche dal Manzoni, nonno e testimone di nozze della sposa, che dichiarò al D’Azeglio: “fra gli ufficiali del suo Ministero uno ve n’è il quale sa scrivere versi siffatti, che da un pezzo non ne ho letto di eguali”.

Si tratta di 142 endecasillabi sciolti di squisita fattura in cui i critici, ma anche un attento lettore, hanno visto accenti del Monti, del Parini e del Foscolo, autori certamente ben presenti alla mente del Nigra.

Vi è contenuto un brano che è forse il più bell’elogio che mai sia stato scritto per il Canavese in poesia. Il carme fu distribuito a tutti gli inviatati, ed ebbe un tale successo che se ne dovettero stampare molte copie in più e fu pubblicato poi sulla Rivista Il Baretti.

L’ ”Ode in morte di Silvio Pellico”, celebra con affetto fraterno una nobile figura del nostro Risorgimento, che pagò con dieci anni di detenzione, di cui otto di carcere duro nella fortezza dello Spielberg, il suo amore per l’Italia e la sua avversione per l’Austria. In seguito a questa durissima prova, a infelici vicende familiari ed anche a causa della salute malferma, il Pellico si era sempre più defilato dalla lotta attiva e si era via via rinchiuso in una intensa religiosità, suscitando prima il risentimento e poi l’oblio dei più attivi combattenti.

Il Nigra, non dimentico dei suoi meriti, ne mette in risalto le grandi virtù e lo ricorda con sincera commozione. In visita allo Spielberg quando era Ambasciatore a Vienna, lascerà nel registro dei visitatori gli ultimi versi del carme, forse i più belli e sentiti.

Ma il più importante dei tre, quello che immediatamente e per molti anni diede fama al Nigra, è “La Rassegna di Novara”, scritta con l’animo sincero di grande patriota, ed in cui vengono esaltate la gloria dei soldati piemontesi, valdostani, liguri e quella del loro sfortunato Re, Carlo Alberto di Savoia Carignano.

E’ una visione epica, che ancora oggi ci procura viva emozione e slancio patriottico, anche se talora, come abbiamo già accennato, il messaggio politico può travalicare la poesia, ma mai fino al punto da renderla sgradevole o sciatta. Nigra, da buon romantico quale era, aveva certo presenti “I canti di Ossian” e tutta la poesia sepolcrale dell’epoca, oltre ai poeti di cui abbiamo detto innanzi.

Qui il suo endecasillabo raggiunge il massimo della perfezione e trova pochi eguali (se si escludono i grandissimi) nella poesia dell’ottocento, pur se gli mancano gli empiti del lirismo carducciano di “Piemonte” o de “I Sepolcri” del Foscolo, e se nell’elencare i vari reparti che sfilano vi è certo un descrittivismo forse un po’ eccessivo.

Il terzo gruppo, “Gli Idilli”  è quello più apprezzato dalla critica ufficiale. Abbandonati i toni epici dei carmi, il calore del suo fervente patriottismo, e certe movenze scopertamente romantiche delle composizioni cosiddette minori, il Nigra, oramai in età matura, lontano dagli splendori delle corti dove era passato personaggio ricercatissimo e vezzeggiato, ma soprattutto deluso dalla politica, si ripiega su sé stesso e si riavvicina alla quiete della sua terra o a visioni idilliache che toccano e commuovono il suo animo stanco.

Nel volgere probabilmente di non molti anni egli compone i dodici Idilli, definiti “bozzetti poetici” o “quadretti fiamminghi” per la loro eleganza e la precisione dei particolari, e paragonati sovente ai sonetti de  “L’ Astichello” dello Zanella, ma in cui si notano anche movenze pascoliane e a volte carducciane.

Con un sorvegliatissimo registro stilistico, come dice il Rapetti, Nigra descrive la pace dei campi, il fiorire ed il mutare delle stagioni, la bellezza dei luoghi, la purezza dell’aria, ma vi cala la presenza dell’uomo, magari con la gravezza della sua fatica, in balia del tempo che spesso ruba ciò che ha dato, lasciando disperazione e talora dura imprecazione.

Non è una voce possente quella del Nigra degli Idilli, ma il gusto, la padronanza del verso, la sincerità dei sentimenti manifestati, non lo fanno mai cadere nella retorica, e gli valgono, senza dubbio, un posto sicuro fra i poeti minori dell’ottocento.

Resta da dire del quarto gruppo, quello delle Traduzioni Poetiche.

Accenniamo appena a quella de “Il Profeta” del poeta russo Puskin con un risultato, nonostante l’impossibilità del raffronto, che ci pare stilisticamente riuscito.

Occupiamoci invece delle traduzioni maggiori e cioè de “La Chioma di Berenice” di Catullo, con relativa dedica, di mano del Nigra, ad una sua ammiratrice, e gli inni “A Diana” e “Sui lavacri di Pallade” di Callimaco. Qui veramente il Nigra dà prova di una squisita sensibilità per i classici e di una felicissima predisposizione, già peraltro dimostrata ampiamente, al metro più bello ed elegante della nostra letteratura.

E’ noto come il latino sia assai più conciso dell’italiano. Ciononostante il Nigra riesce a tradurre “La chioma di Berenice”, composta di 94 versi elegiaci (e cioè 47 coppie di esametri e pentametri), con soli 100 endecasillabi, più brevi dunque come numero di sillabe, senza peraltro allontanarsi dal testo e senza trascurare nessun particolare, virtù che è propria solo dei grandi traduttori.

Si sa che questa elegia, scritta originariamente da Callimaco di Cirene in greco, andò persa e ne restano solo una ventina di versi originali. Ci rimane invece la traduzione in latino di Catullo, che Foscolo volse in endecasillabi di pregevole fattura ma discostandosi spesso dal testo.

Nigra, nel riproporre la propria traduzione, è cosciente di aver fatto opera stilisticamente ineccepibile, più fedele e più stringata e così commenta:

“Io ammetto candidamente che ho fiducia di dare una traduzione poetica della Chioma di Berenice migliore di quelle pubblicate finora nella nostra lingua, non esclusa la Foscoliana…in quanto la mia segue un testo più corretto di quello adoperato da Ugo Foscolo e dagli altri traduttori italiani”.

Nelle altre due odi “A Diana” e “Per i lavacri di Pallade” ha seguito gli stessi criteri traducendo direttamente dal greco e dandoci un altro grande saggio di bravura. Si tratta di due fra le più belle e raffinate odi di Callimaco, di grande eleganza, in cui sono contenuti due celeberrimi miti. Abbiamo letto che il Nigra avrebbe pure tradotto qualche canto dell’Odissea, ma non ne abbiamo trovato traccia. Sappiamo invece per certo che con due suoi amici, Giacomo Lignana e Domenico Carbone, stava cimentandosi nella traduzione dell’Eneide (lettera all’avv. Talentino di Castellamonte, del 23 luglio 1850, in cui gli si chiede un parere per la traduzione di due emistichi virgiliani [ vv. 39-40 I] ), ma anche di questa, per quanto ci consta, non è rimasto nulla.

 

Un Cultore delle Tradizioni e della Storia locale

L’amore per la propria terra, il Canavese, ha impegnato Nigra in tutta una serie di lavori attenti e ben documentati che hanno salvaguardato molti dei tesori culturali tipici delle tradizioni e della storia locale.

Uno tra i più importanti certamente riguarda le Rappresentazioni Religiose in Canavese (Il Natale, La Passione, Il Giudizio Universale) che venivano rappresentate in Valle Sacra e che oggi il Premio Letterario Costantino Nigra tenta di riportare alla luce ed alla ribalta dei paesi di quella vallata. Un lavoro condotto in collaborazione con l’amico Delfino Orsi che rispecchia il lindore di pensiero ed il grande ordine morale del Nigra che raccoglie, commenta, ordina i testi delle tre rappresentazioni che andavano in scena nelle cascine e nelle Chiese della Valle Sacra in tre periodi dell’anno (Dicembre, Aprile, Settembre).

Non meno importanti altri lavori che riguardano capitoli di Storia minore ma per questo non meno rilevanti. Guida itinerario delle Valli Orco, Soana e Chiusella, scritto con l’amico Vaccarone è uno splendido ritratto delle bellezze del Canavese viste in chiave turistica. Notizie storiche intorno al Borgo di Santhià è una ricerca storica di quell’importante centro di produzione del riso. Le origini del nome di Ivrea è un'altra dotta dissertazione che mette in rilievo la profondità di ragionamenti con cui Nigra affrontava tutti gli argomenti trattati. Sulle origini e sulle ramificazioni della casa marchionale d’Ivrea in relazione a casa Savoia offre altre motivazioni di interesse che fanno del Nigra una personalità culturale di una ecletticità unica. Uno degli Edoardi in Italia; favola o storia? È una dissertazione sul ritrovamento di una tomba nel nord Italia che Nigra dimostra essere possibile l’appartenenza ad un Re Edoardo della dinastia inglese; una spiegazione motivata e così approfondita storicamente da lasciare il lettore esterrefatto da tanta capacità di analisi.

Ricordi Diplomatici è l’unico capitolo, di quelle importanti memorie, che Nigra volle pubblicare per discolparsi delle accuse che gli rivolgevano i francesi, dopo la disfatta di Sedan e la caduta del II° Impero, di comportamento non fedele all’alleanza tra Italia e Francia, accuse che Nigra, con chiara documentazione di cose e fatti, seppe smantellare con chiarezza e completezza di racconto.

Insomma un altro campo questo dove Nigra potè dare misura delle proprie capacità intellettuali e storiche.

 

Uno Studioso di Glottologia ed Etimologia

Questo particolare aspetto, che pare assai lontano dalla capacità di un uomo pur dotto e preparato, era in realtà uno dei campi preferiti dello studioso che, se non spinto dalle direttive paterne che lo indirizzarono verso l’avvocatura, avrebbe certamente scelto la carriera universitaria di letteratura come attività professionale.

Ma gli studi di glottologia ed etimologia furono sempre tra le attività preferite dal Nigra per continuare a coltivare la passione per lo studio delle origini delle parole  e dei dialetti della sua terra Canavesana  e del suo Piemonte.

Sin dall’epoca della sua frequentazione all’Università di Torino, negli anni dal 1846 al 1850, anno della sua laurea in Giurisprudenza, Nigra ebbe a pubblicare sulla Rivista “Archivio Glottoligico” una serie di interessanti osservazioni sul lessico della lingua italiana; questa collaborazione continuò per molti anni sino a fine ottocento in relazione ai suoi impegni di diplomatico che furono frenetici e di alto livello per tutto il periodo 1855-1900 con una breve pausa dal 1876 al 1881 quando fu Ambasciatore a San Pietroburgo. Altri studi particolarmente profondi furono quelli legati alla pubblicazione “Saggio lessicale di basso latino curiale” in cui Nigra esaminava gli scritti contenuti in svariati Statuti Medioevali Piemontesi per derivare le origini latineggianti di vocaboli dialettali all’interno di leggi e regolamenti; regalò questo grosso lavoro ad un Congresso Storico Subalpino. Altro grosso impegno Nigra lo dedicò al manoscritto “Glossae Hibernicae Veteres Codicis Taurinensis”; si trattava di un commentario al Vangelo di San Marco nella lingua parlata dai Celti a cui Nigra fece una approfondita prefazione in latino per spiegare la glottologia del testo.

Un altro grosso lavoro di studio Nigra lo compì sul manoscritto irlandese conservato nella Biblioteca di San Gallo in Svizzera, unico testo in cui coesistono la lingua celtica con il corrispondente testo latino.

Poi ancora altri lavori minori relativi alla fonetica del dialetto di Val Soana, allo studio del dialetto di Viverone ed al vocabolario Valdostano dove Nigra esalta le sue capacità di dotto ed approfondito studioso.

Ci si chiede come abbia potuto, in aggiunta ai gravosi impegni che la diplomazia gli procurava, trovare tempo da dedicare, con scrupolosità di ricerca, ad argomenti così particolari e peculiari che richiedevano indagini approfondite ed accesso a documenti di non facile reperimento. Ma Nigra era un uomo così attento e preciso nei suoi scritti da dedicare molto del suo tempo libero allo studio degli argomenti trattati e a non pubblicarli se non dopo scrupolose verifiche e stesure dei testi definitivi.

 

Un Artista e amico di Artisti

Costantino Nigra fu innanzitutto poeta ed artista e con questa commendatizia partì per la sua prima missione all’estero al seguito di Vittorio Emanuele II e di Cavour in visita agli alleati Francia ed Inghilterra e successivamente al Congresso di Parigi che sanciva la pace di Crimea. In quell’occasione il prof. Paravia titolare della cattedra di eloquenza all’Università di Torino diede a Nigra una lettera di presentazione per il presidente del Congresso prof. Perrens di questa natura: “Il Cav avv. Nigra, Segretario del Ministero degli esteri, Vi presenterà questa mia. E’ giovine di molto ingegno e che fa dei versi così splendidi e tersi che pochi di eguali se ne leggono oggi fra noi. Son dunque certo di rendervi un vero servizio procurandovi una sì cara conoscenza”.

Da quel giorno Nigra seppe incontrare, e farsi ammirare, da una moltitudine di letterati, critici d’arte, uomini di scienza, cantanti lirici, grandi compositori, pittori e scultori il cui elenco fu raccolto da Luigi Collino condirettore, insieme ad Adolfo Colombo,  della Rivista Il Risorgimento Italiano in una bella pubblicazione dal titolo “Costantino Nigra artista e amico d’artisti”.

Il primo a testimoniare pubblicamente apprezzamento per le opere letterarie di Nigra fu il grande critico letterario Alessandro D’Ancona che pubblicò un articolo sul Marzocco e raccolse in un volume tutte le poesie del Nigra. Analogo omaggio Nigra lo ricevette dal poeta Mario Rapisardi, dallo scultore Francesco Jerace, dal grande letterato Francesco D’Ovidio, dal grande romanista francese Gaston Paris. Grande ammirazione suscitò anche il lavoro di Nigra sulle canzoni popolari da parte di tanti studiosi illustri: Federico Sclopis magistrato e studioso di storia e di legislazione, Ernesto Monaci grande filologo, il visconte Melchior De Vogué accademico di Francia, Paul Heyse grande studioso tedesco della letteratura italiana.

Ma la popolarità del Nigra gli aprì le porte dell’amicizia con tanti artisti di fama: Gioachino Rossini a cui Nigra consegnò, su incarico del Re, il collare dell’Ordine dei cavalieri di Savoia; Giuseppe Verdi a cui Nigra ebbe ad accordare favori come ambasciatore a Vienna; Ruggero Leoncavallo altro grande compositore; Giulio Ricordi il grande editore musicale dell’ottocento fondatore della grande Casa Musicale. La cantante lirica Adelaide Ristori fu anche amica di Nigra, nel senso più alto e nobile, ed a lui si rivolgeva per raccomandare aiuto per concerti a favore degli italiani esuli in francia. Così per il grande attore di prosa Ernesto Rossi.

Fra i molti letterati che furono fraternamente amici di Nigra va ricordato prima di tutti Giovanni Prati che Nigra conobbe a Torino nel 1847 e che mantenne con lui una lunga e profonda amicizia. Poi Terenzio Mamiani della Rovere, conte, statista, filosofo e poeta, ministro e senatore del regno con cui Nigra fu anche collega per breve periodo quando Mamiani resse le Ambasciate di Atene e Berna. Il poeta Giacomo Zanella, lo storico Pasquale Villari, il poeta della Buona Novella Corrado Corradino, lo scrittore Arturo Graf, il poeta Giulio Orsini alias Domenico Gnoli furono altri illustri artisti con cui Nigra intrattenne relazioni culturali e dalla cui corrispondenza emerge in piena luce la figura del nostro diplomatico artista.

Il primo che comprese il valore del Nigra fu però il sommo poeta Alessandro Manzoni che, nonno e testimone di nozze della nipote Alessandrina D’Azeglio, figlia di Massimo D’Azeglio, ebbe ad ammirare il carme che Nigra compose come epitalamio in occasione del Matrimonio celebrato a Cornigliano Ligure nel 1852. Il Manzoni affermò in quell’occasione che “da molto tempo non aveva letto versi di tale bellezza”.

L’elenco dei nomi importanti che intrapresero relazioni di amicizia col Nigra sarebbero ancora così numerosi da rendere l’elencazione troppo lunga. Mi limiterò a citare ancora alcuni grandi come Alessandro Dumas figlio, Giuseppe Giacosa, Prosper Merimée.

Potrei continuare ancora ad elencare i molti altri grandi meriti di quest’uomo illustre che fu anche uomo di Scienza, precursore illuminato dell’ Europeismo, uomo onesto, leale, riservato, ed un Magnate in tutti i campi della vita sociale per la sua generosità d’animo e di portafoglio.

Certamente le fortune accumulate in oltre 50 anni di attività diplomatica ad altissimo livello, gli investimenti oculatamente suggeriti dagli amici banchieri Rotschild, gli innumerevoli preziosi regali ed onorificenze ricevute gli potevano consentire munifiche elargizioni che seppe fare sempre a favore di categorie deboli del mondo in cui viveva: emigranti, persone in povertà, associazioni di lavoratori in difficoltà e giovani in cerca di un lavoro decoroso.

Ma continuare vorrebbe dire scrivere un nuovo libro anziché un semplice articolo e mi devo fermare.

Questa personalità così di spicco merita grandi approfondimenti ed un posto di rilievo nello scenario patriottico e culturale del nostro paese.

Servì l’Europa, la Sua Patria, la Sua Regione, la Sua Comunità, coerentemente e fedelmente

 

Roberto Favero