AUTORI:

  • Tancredi Canonico, Presidente del Senato 
  • Francesco D'Ovidio - filologo e critico letterario
  • Carlo Trabucco, sindaco di Castellamonte, Commemorazione Nigra alla Scuola di applicazione dell'esercito Torino
  • Conte Prof. Carlo Toesca di Castellazzo, professore universitario

 

Tancredi Canonico, Presidente del Senato

Commemorazione di Nigra al senato
Signori Senatori! (Vivissimi segni di attenzione).
È col cuore profondamente commosso che annunzio al Senato la morte del nostro egregio collega Costantino Nigra, avvenuta ieri notte a Rapallo, ove erasi recato per ritemprarsi alle aure marine di quella incantevole spiaggia.
Quando, nel 1843, al Collegio delle provincie di Torino, cominciavamo a studiar leggi insieme, leggevamo romanzi, facevamo versi, giocavamo nelle ore libere con la franca e spensierata allegria dei nostri quindici anni, poteva io pensare che, dopo tanto tempo, avrei qui dovuto commemorarlo?...
Egli nacque a Villa Castelnuovo (Canavese) l'11 giugno 1828. Di elettissimo ingegno, nel quale si contemperavano mirabilmente la nota geniale dell'artista, lo spirito osservatore, il retto ed equilibrato criterio nel giudicar delle cose -
agevolato da una serie di circostanze favorevoli - Costantino Nigra percorse rapidamente una splendida carriera, nella quale rese all'Italia servigi eminenti in tempi non facili.
Nel concorso d'ammissione al ministero degli esteri, il Nigra fece un lavoro stupendo, che entusiasmò Massimo d'Azeglio, il quale dirigeva allora quel dicastero. Succedutogli Camillo Cavour, che aveva il fiuto giusto del vero valore, se lo ebbe carissimo, lo portò seco quel segretario al Congresso di Parigi, dove - ancora in età giovanile - fu più tardi ambasciatore fino alla caduta del secondo impero.
Altamente apprezzato da Luigi Napoleone, egli adoperossi con fine accorgimento a promuovere tutto ciò che potesse agevolare la nostra ricostituzione politica; specialmente quando si trattò della cessione della Venezia, avvenuta in momenti in cui meno la si poteva aspettare.
L'importanza dei servigi da lui resi all'Italia si farà vieppiù manifesta quando potranno venire in luce i documenti e le memorie, che il dovere del segreto diplomatico e la sua modestia tennero finora in gran parte celati.
Nelle ambasciate di Londra, di Pietroburgo, di Vienna, come già in quella di Parigi, egli seppe sempre tener alta la dignità del nostro paese ed acquistarsi particolare stima dai vari Sovrani presso cui fu accreditato, e la massima
considerazione dai loro Governi.
Nominato senatore il 4 dicembre 1890, dovette alcuni anni dopo - a motivo dell'età e della malferma salute - ritirarsi dalla diplomazia, tornando con più vivo zelo ai suoi lavori prediletti di lettere e di storia, che, anche in mezzo alle cure politiche, non aveva mai abbandonato.
Basti ricordare la sua Fonetica del dialetto di Val Soana, le Reliquie celtiche, le Glossae hibernicae veteris codicis Taurinensis, Le comte de Cavour et la comtesse de Circourt (lettres inedites), la sua versione dell'ode di Callimaco I
lavacri di Pallade, la Rassegna di Novara, in cui spira il verso che fa santa la tomba, ed immortale Il lauro ai forti per la patria estinti, e che si sente sgorgare dal cuore dell'antico volontario del 1848, ferito nelle prime battaglie per l'indipendenza italiana.
Socio di molte insigni Accademie scientifiche nazionali e straniere, nominato dottore honoris causa dall'Università di Edimburgo, fu dal nostro Sovrano decorato dell'ordine supremo della SS. Annunziata.
Fiore di montagna gagliardo e vivace - trapiantato in mezzo alle più splendide Corti di Europa, ne acquistò tutto il garbo e la scioltezza signorile, ma nulla perdette in quell'ambiente della gagliardia e della vivacità nativa. In mezzo alle riunioni mondane ed alle note diplomatiche, egli non cessava dal coltivare i cari suoi studi, dal raccogliere canzoni popolari (in cui si conservano per lo più le tradizioni leggendarie su fatti d'arme patrii, su celebri capi guerrieri, su amori infelici), raffrontando quelle dei vari paesi sul medesimo soggetto. Mi ricordo, fra le altre, di un'interessante leggenda,che egli poté trovare quasi identicamente ripetuta in versi provenzali, piemontesi, e di due altri dialetti, e che mi mandò in dono quand'era ambasciatore a Londra.
Al disotto del Nigra diplomatico, vi era sempre il Nigra poeta, artista, spesso entusiasta: ed è da questo Nigra interiore che irradiava quell'indefinibile vezzo gentile, che lo rendeva singolarmente simpatico.
Fedele quale egli era alle amicizie - la nostra durò senza nube per oltre sessant'anni: ed ogni volta che ci vedevamo, erano sempre i due compagni di collegio che si trovavano insieme, con la stessa gaiezza e fidente espansione
d'allora. Perdonate se ho forse troppo parlato di ricordi personali. Ma essi sono per me inseparabili dalla figura di Costantino Nigra: e desidero che, nella corona d'affetti deposta oggi dal Senato sulla tomba dell'illustre e profondamente compianto nostro collega, non manchi il fiore semprevivo di una schietta ed inalterata
amicizia. (Vivi e prolungati applausi).
TITTONI, ministro degli affari esteri. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà
TITTONI, ministro degli affari esteri. Quale vita operosa e quanto nobilmente spesa per la patria si è spenta con Costantino Nigra! Essa è così intimamente collegata al nostro risorgimento nazionale che per ritrarla non basterebbero pochi cenni di biografia ma occorrerebbe un volume di storia.
Il nostro Presidente ne ha tracciata una sintesi che comincia dal 1848 quando egli volontario nel Corpo dei bersaglieri durante la guerra dell’indipendenza fu ferito alla battaglia di Rivoli, e giunge ai nostri giorni attraverso memorabili
avvenimenti. Dovendo scegliere tra questi, a me piace ricordare quattro momenti della vita di Costantino Nigra che segnano inestimabili servigi da lui resi al paese, e cioè la parte notevolissima che egli ebbe nei negoziati confidenziali che precedettero la guerra del ’59; la sua efficacissima azione diplomatica nel periodo che precedette la guerra del ’66; l’azione sua decisiva presso il Governo francese dopo il 4 settembre 1870 per le risoluzioni immediate in vista dell’occupazione di Roma; l’opera sua assidua a Vienna per stabilire intimi e cordiali rapporti tra l’Austria- . Ungheria e l’Italia.  Ed altro non dico, poiché troppi ricordi si affollano alla mia mente, troppi ricordi si affollano alla mia mente, troppi sentimenti tumultano nel mio animo , nel quale il dolore è associato alla riverenza ed alla ammirazione.
In nome del Governo, io partecipo al lutto del Senato e della Nazione.
(Approvazioni vivissime. Bene, benissimo).
DE SONNAZ. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
DE SONNAZ. Io certo non voglio fare la storia del senatore Nigra; ma mi limiterò ad associarmi a quanto l’illustrissimo nostro Presidente e l’onorevole ministro degli affari esteri hanno detto di tanto uomo.
Il rimpianto senatore Nigra per più di mezzo secolo servì fedelmente e lealmente l’Italia nelle circostanze più delicate e più difficili: dal giorno in cui venne ferito sulle alture di Rivoli, il 22 luglio 1848, quale bersagliere nella compagnia degli studenti di Torino, nell’ultima vittoria delle armi subalpine nella prima guerra dell’Indipendenza (vittoria che fu capitanata dal generale senatore De Sonnaz mio padre) sino al dì in cui lasciò l’ambasciata di Vienna.
Io rammenterò soltanto un fatto che prova il suo gran cuore. Il senatore Nigra era di una bontà e di una gentilezza senza pari con tutti coloro che avevano l’onore di essere del suo personale nelle varie ambasciate. Egli li trattava con la massima cortesia, talché poteva essere considerato come un amico, anzi come un parente. Il Nigra si era acquistata una tal fama fra noi, che abbiamo servito al suo fianco, che lo consideravamo come il nostro illustre maestro e avevamo per lui una profonda venerazione.
La storia della sua vita è splendida. Egli non solo era un gran diplomatico e un grande letterato, storico e poeta, ma anche un gentiluomo perfetto e un nobilissimo cuore. (Approvazioni vivissime).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 2 luglio 1907.

FRANCESCO D'OVIDIO - filologo e critico letterario
COMMEMORAZIONE DI COSTANTINO NIGRA

La morte di Costantino Nigra, avvenuta a Rapallo nella notte del 1°" luglio 1907, arrecò gran dolore a tutti, ma niuna sorpresa a quanti l'avevano visto negli ultimi anni invecchiare rapidamente e negli ultimi mesi star sempre con un piede nella Inumi. Non aveva ben toccato gli ottant'anni, e per più rispetti pareva atto a trascorrerne parecchi altri ancora, ma un'infermità cardiaca e l'indurimento delle arterie gli minavano l'esistenza. In una notte a mezzo il dicembre del 1906 il suo cuore, quel uni cuore, aveva quasi cessato di battere, e solo gli sforzi disperati dei famigliari e dei medici riuscirono a richiamarlo in vita. Pur era tanta la gagliardia della sua fibra, che, recatomi ni ansiosamente a vedere s'egli avesse superata l'altra notte, lo trovai così ben vivo da venirmi incontro, con volto ilare, col mio solito fare amabile, amichevole, cavalleresco: e da intrattenermi per più d'un'ora leggendomi una celebre poesia d'un celebratissimo poeta, chiosandola con singolare vivacità. Sennonché pochi giorni dopo, durante le feste natalizie,
quando la di partita sembra più amara pel contrasto tra il fato d'un uomo o la, comune gaiezza, ei si trovò di nuovo sospinto a un passo dalla sua fine, e tutta Italia allora lo seppe e ne trepidò.
Che so ancora la solerzia altrui e l'ingenita vigoria sua valsero per sei mesi a soffermarlo, com'ei diceva, dell'anticamera della tomba, non poterono più restituirgli l'umore antico. Lucido restò sempre il suo intelletto, lesta e fida la memoria, elegante la loquela, aperto il cuore ai più gentili affetti; ma ei sentiva come il vivere fosse per lui niente più che un arduo problema da risolvere ad ogni ora, ad ogni momento.
" Colei che per certo futura portiam sempre vivendo innanzi all'alma „, ei se la ve- deva assisa al fianco, pronta a ghermirlo ; e di rado al posto di quel tetro spettro si collocava la larva della speranza. Da ultimo, staccatosi da quella Roma, che non doveva più rivedere; navigando pel mar Tirreno, fulgido de' suoi più bei colori estivi, verso la ridente spiaggia ligure; parlando con tenerezza patriottica alla ciurma della regia nave che lo aveva portato a quella spiaggia; posando sopra essa il piede, — si sentì come rinascere, gli parve di aver ricuperato forze che credeva irreparabilmente perdute. Ma era come l'estremo guizzo della grande fiamma che si spegneva.
Però, se fu malinconico il tramonto della sua vita, se l'esordio n'era stato ben modesto, la vita, stessa fu fortunata assai. Nato a Villa Castelnuovo, nel circondario d'Ivrea, l'11 giugno 1828, a vent'anni s'arruolò nell'esercito durante la guerra d'indipendenza; e dopo la guerra lasciate le armi, si laureò subito in legge, e, per concorso, fu addetto al Ministero degli Esteri. Divenuto segretario particolare del D'A/egli o e poi del Cavour, l'ingegno vivo, il carattere saldo, il senno precoce, il garbo dell'uomo di lettere, la singolare bellezza dell'aspetto così maschio eppur cosi, leggiadro, richiamarono l'attenzione di quei sommi ; il secondo dei quali non dubitò di elevarlo in pochi anni
a uffici sem pre più alti. Il Cavour scrisse una volta come il Nigra aveva più ingegno di lui. Fu una di quelle
esagerazioni magnanime a cui l'uomo di genio trascorre, ma per un certo rispetto non era un'esagerazione: il Nigra aveva anche nei momenti più dolorosi una calma e una padronanza di sé, che il bollente ministro gli avrà qualche volta invidiata. Certo, chi legge le note diplomatiche, i dispacci, le lettere confidenziali, che il Nigra inviava da Parigi, vi scopre immancabile rettitudine di giudizio, sobrietà perfetta di stile, intuizione pronta, animo risoluto, tatto
squisito, conoscenza profonda degli uomini e delle cose, serenità senza freddezza, zelo senza smanie: tutto quello insomma che rende prezioso un informatore e un consigliere e ne fa quasi uno strumento di precisione, o una bussola che in qualsivoglia tempesta ti addita il polo. Neppur la febbre delle speranze e delle angosce patriottiche valeva a farlo trascendere in eccessi di ottimismo o di pessimismo; come d'altra parte neppure la sua grande intimità con quel paese, con quella capitale, con quella corte, dov'egli era tanto festeggiato e prediletto, bastava a fargli
mai guardare le cose da un punto di vista che non fosse strettamente italiano. Il pericolo degli ambasciatori assai bene accetti al paese presso cui sono accreditati, è che, se dall'un canto col favore che vi godono riescono a richiamare sulla loro patria condiscendenze straniere che altrimenti non si avrebbero, dall'altro però, col divenir troppo domestici al paese in cui vivono, risicano di veder qualche volta più con gli occhi del sovrano o del governo straniero che non con gli occhi propri o della nazione che li ha inviati. Quel pericolo il Nigra lo seppe schivare, che
restò sempre autonomo, sempre indipendente da passioni o ubbìe francesi: non ingrato alla benevolenza francese e imperiale verso l'Italia e verso la persona sua, ma non mai accecato dalla gratitudine. Un gran personaggio di Francia, commemorandolo, disse ch'egli era compiacemente arrendevole negli accessori e inespugnabile nella sostanza, ritroso a promettere quel che non fosse sicuro di poter mantenere e fermissimo nel mantenere quel che aveva promesso. Fu detto ch'egli fosse un affascinatore, ed è notevole a questo proposito l'affetto vivo che l'imperatore Francesco Giuseppe ebbe negli ultimi anni pel nostro rappresentante, che pur aveva cominciata la sua carriera
di patriota col buscarsi nella battaglia di Rivoli, da caporale dei bersaglieri, una palla austriaca nel braccio destro. Ma di quel suo fascino nessuno si dolse mai, poiché nessuno egli ingannò; anzi una delle più seducenti sue attrattive era appunto la lealtà incrollabile. L'Italia aspettava ora di legger alla fine tutto il racconto dei cinquant'anni della sua vita
diplomatica, nel quale si sarebbero rinnovati tanti ricordi di giorni ansiosi, di audacie sapienti, di sforzi eroici di prudenza e pazienza. Delle sue Memorie ei parlava come d'un libro già compiuto e limato, qualche tratto ne aveva già donato al pubblico, di altri aveva concesso che qualche amico facesse uso, o gliene aveva egli medesimo dato lettura; o lasciava solo intendere di volere o ritardata o postuma la pubblicazione del libro per ragioni di convenienza cortese. Ma nel settembre  el 1906, preso da non so quale sconforto, mi accennò il proposito di darlo invece alle fiamme; ed io naturalmente mi adoperai a rimuovernelo ; e vogliamo ancora sperare (anzi un'attestazione
dell'Artom relativa agli ultimi mesi relativa alla vita del Nigra ce ne dà quasi la certezza) ch'egli non sia stato così crudele con l'opera sua. La quale aveva fra gli altri questo gran pregio, che d'ogni cosa arrecava possibilmente le prove autentiche, i documenti ineluttabili, sì da riuscire una storia prammatica del nostro risorgimento e di altri grandi fatti europei, assai più che una rievocazione di reminiscenze e impressioni personali.
Ma, oltre il resto, oltre le tante ragioni di gratitudine che abbiamo verso il Nigra come cittadini, una ve n'è che più ci tocca come cittadini e come uomini di studio, la quale più vuol essere propriamente richiamata qui. A lui dobbiamo se anche l'Italia può vantarsi d'essere stata alcuna volta rappresentata da un ambasciatore della specie dei Niebuhr e dei Bunsen: di uomini cioè che all'abilità diplomatica unirono l'abilità o la fama di dotti, rappresentando del proprio paese non solo la potenza e la fortuna ma la sapienza e la scienza, non solo il valore pratico ma il valore ideale. E dico di dotti veri e propri, non di dilettanti più o meno imbevuti di dottrina o d'arte, alle cui velleità intellettuali si applaude sol perché sono un di più, e perché si considera il bene che alla schietta arte e alla seria dottrina può pur derivare dai gusti dilettanteschi di un personaggio mondano.
No, il Nigra è stato, oltreché un poeta valente, un filologo diligentissimo e un glottologo davvero. Se si fosse consacrato unicamente agli studi, la suppellettile dei suoi volumi o monografie sarebbe pur bastata ad assicurargli un posto cospicuo fra gli studiosi italiani e fra i dotti d'Europa; tanta è la molteplicità della dottrina, la precisione, l'accuratezza, l'acume, la curiosità indagatrice, la limpidezza di pensiero, che brilla nelle sue pagine. Certo, nella
pienezza stessa delle informazioni, come nella pazienza indefinita delle ricerche, ed in altre virtù, si scorge manifestamente lo scrittore vissuto in alte sfere, a cui tutti i mezzi di studio erano accessibili, e che non lavorava sotto il pungolo delle necessità professionali; ma fu semplice dono del suo spirito quello scrupolo di esattezza e di chiarezza, e altri pregi, diciamo così, didattici, che senza dubbio avrebbero all'occorrenza fatto di lui un cattedratico di prima riga.  La celebratissima raccolta dei Canti popolari del Piemonte è un modello del genere, un monumento
imperituro. Tra letterario o filologico, tra adorno e severo, è il volume sulla Chioma di Berenice, ov' è ripubblicato criticamente il testo latino, e tradotto bellamente, e v'è discussa con molta finezza la versione e il commento del Foscolo; come un ottimo proèmio vi oltrepassa anche i limiti dell'unico carme, anzi per più rispetti abbraccia tutta la materia catulliana. La metodica esposizione del Dialetto di Valsoana, che trent'anni fa arricchiva uno dei primi volumi
dell'Archivio, conformandosi agli schemi austeri di questo, è, come disse il Rajna, " testimonianza insigne d'una coscenziosità, docilità, tenacia scientifica, che sarebbero degne di lode in chicchessia, e che in un uomo posto in così alto grado e occupato in cosi gravi affari sono addirittura mirabili „.
Il Nigra, che negli anni giovanili, a Torino, tra il primo fervore degli studi sanscriti, vicino al Gorresio e al Flechia, aveva amoreggiato ei pure col sanscrito e con la linguistica comparativa, nel decennio posteriore al 1870 s'era volto agli studi celtologici, di cui l' Italia era tuttora digiuna, salvo qualche bell'accenno del Flechia.  Un po' l'esempio di quest'ultimo e la generale astinenza degli altri dotti italiani, un po' il trovarsi egli ospite della più celtica fra le nazioni neolatine, un po' il concetto ch'ei s'era formato della ripartizione e propagazione dei canti popolari in Italia e negli altri paesi romanzi, — dal qual concetto, come ha rilevato il Rajna, era invitato a fermar lo sguardo sul substrato celtico delle regioni cisalpine, transalpine e transpirenaiche, — lo indussero a divenir celtologo valente: quale si mostrò nel 1869 colle Glossae hibernicae reteres codicis taurinense, e poi con gli articoli nella Revue celtique, e colle Reliquie celtiche del 1872. Di lì s'accingeva a passare alle Glosse Ibernicae del manoscritto ambrosiano; ma l'Ascoli volle attendervi lui, e il Nigra, che sapeva trattar con le grandi potenze anche d'ordine intellettuale, vi rinunziò di buon grado. E per la trafila della ricordata monografia sul dialetto di Valsoana, passò più di proposito agli studi
neolatini e dialettolo gici, ai quali del resto e l'Ascoli stesso e il Flechia e gli altri glottologi italiani si venivano sempre più stringendo. Accumulò tesori di ricerche etimologiche, e di recente li smaltì nell'Archivio Glottologico, nella Romania, nella Zeitschrift fur romanische Philologie. Fu una sequela di pagine ove molto materiale di studio è adunato, molte verità sono acutamente scoperte ed efficacemente dimostrate, molte ipotesi sottili e ingegnose vengono messe in campo. Talvolta son troppo sottili o ingegnose, e, mentre applicano a rigore le leggi della
fonologia, non riescono persuasive, non han l'aria della verosimiglianza; tal altra volta le leggi stesse della fonologia vi son intese in modo non abbastanza rigido, con una libertà che ricorda più antiche fasi della scienza glottologica. Sennonché un carattere notevole hanno le ricerche del Nigra quando son applicate a vocaboli indicanti oggetti materiali, piante, animali, cose di caccia, industrie e costumi villerecci: a base della speculazione idiomatica v'è la cognizione realistica delle cose; una cognizione esatta, precisa, minuta, della quale i più degli etimologi sentono in sé
il bisogno senza poterlo appagare. Egli è che il Nigra, qual uomo di mondo ed esperto di tanti paesi, aveva avuta l'opportunità di bene apprender le cose innanzi di scrutarne i nomi; e, vissuto nella prima gioventù tra i monti e i campi del suo Canavese, aggirandosi tra gli umili, umile in parte ancora egli stesso, come aveva raccolto con amore l'eco dei canti del popolo, così ne aveva osservato i costumi o i mestieri, e s'era affiatato direttamente con la natura. Il gran signore ch'egli era divenuto, e il buon borghese di campagna ch'egli era stato, cospiravano ora a
illustrargli i nomi delle cose.
Un altro studio lo attirò da ultimo, riconducendolo all'amatissima regione nativa. Scorse con infinita pazienza gli Statuti Latini del vecchio Piemonte, per rintracciarvi i riverberi latineggianti di voci dialettali, ossia il primo apparir di queste sotto le simulate spoglie della bassa latinità. Questo lavoro interessantissimo lo donò agli Atti del congresso storico subalpino, ed è già tutto in stampa: speriamo venga presto a luce. Il Monaci ne corresse con lui le prime
bozze; come con pia sollecitudine riordinerà le altre carte scientifiche lasciate dal Nigra.
Ultimamente egli s'era volto con zelo e affetto sempre più intenso agli studi, e pareva cercare in questi la ragione del continuar a vivere e quasi una seconda gioventù. Dopo aver tanto veduto e operato, dopo un così lungo per quanto splendido esilio dalla patria, vagheggiava di trovarvi un lieto e non ozioso riposo. Il Sovrano presso cui rappresentava l'Italia non si sapeva rassegnare a vederlo partire, il Sovrano d'Italia non si sapeva rassegnare a lasciarlo tornare; ed egli s'arrendeva a così alti voleri e a così alti doveri, ma in cuor suo non bramava che il ritorno alla patria: il ritorno, se non forse " a così riposato e bello viver di cittadini „, certo " a così dolce ostello „.
Una parte della degnamente accumulata ricchezza aveva spesa nell'acquistare una casa a Roma ed una a Venezia. Tra queste due città anelava di poter venire a dividere gli anni suoi estremi.
Roma e Venezia! Quanta poesia, e quanta storia, v'era in fondo a questa predilezione! Predilezione quasi simbolica: come s'egli avesse voluto prender ben bene possesso delle due città tanto desiderate ne' suoi anni giovanili. Roma e Venezia, il sospiro del patriota e del diplomatico, erano ora il sospiro dello stanco vecchio, avido di requie, d'un pacato rifugio dopo una vita fulgidamente avventurosa. Ma in ciò la sorte fu a lui e a noi crudele: poco più che due anni lasciò a lui godere la patria finalmente ricuperata, e a noi la gioia di veder tra noi aggirarsi il reduce
glorioso, l'alunno di Camillo Cavour, il vivente simulacro dell'età eroica, che par tanto lontana, della nuova Italia!

Articolo pubblicato sulla rivista Archivio Glottologico Italiano - Vol XVII° - p.1 - 
Torino - Loescher - 1910

Carlo Trabucco

COMMEMORAZIONE NIGRA SCUOLA DI APPLICAZIONE DELL'ESERCITO TORINO 15 FEBBRAIO 1968

COSTANTINO NIGRA
Fuori della Leggenda (e del Romanzo)

Eccellenze, Signori Ufficiali, Autorità, Signore e Signori,
Gli uomini sopravvivono nel tempo per le loro imprese memorande; fra queste, per lo più, non figurano le azioni galanti. Tuttavia qualche eccezione esiste; Casanova può essere considerato un esemplare di questa categoria. L'avventuriero veneziano si raccomanda ai posteri - una raccomandazione poco edificante ... - per le sue imprese amatorie e truffaldine. Casanova ebbe ingegno versatile, fu a volta a volta poeta, matematico, traduttore di Omero, storiografo e critico. E, aggiungiamo, per colorire meglio il quadro, baro e spia.
Questo può essere il caso limite di un personaggio che passa alla storia prevalentemente per le imprese amorose; si deve tuttavia riconoscere che nella vita degli uomini importanti, anche dei politici, l'amore o l'avventura amorosa, hanno avuto la loro parte. La mia introduzione ha lo scopo di gettare un tenue sprazzo di luce, dirò, in via preventiva, sul tema da me scelto: "Costantino Nigra fuori della leggenda (e del romanzo)"; aggiungo: romanzo sentimentale.
Osservo che colui il quale fu luce e guida per Costantino Nigra - alludo al Cavour - ebbe egli pure le sue vicende amatorie, ma le donne del Conte non ebbero alcuna incidenza sulle vicende politiche di cui egli fu protagonista.
Cavour non ebbe una vita familiare felice e serena. Le donne furono un .... ingrediente sentimentale e complementare della sua dinamica attività ma non ebbero peso determinante nelle imprese politiche a cui lo Statista pose mano. Così l'azione della Contessa di Castiglione che si dice Cavour avesse cacciato tra i piedi di Napoleone III come pedina di un suo gioco diplomatico, non ha dato risultati apprezzabili.
Altrettanto si potrebbe afferRare dell'allievo Costantino Nigra -parecchie donne sulla sua strada ma nessuna Ninfa Egeria - se uno scrit tore, il mio conterraneo Salvator Gotta, non avesse colorito una pagina della vita del diplomatico canavesano a tal segno da far sorgere un intrigo, che anche a giudizio di persone assai vicine alla famiglia Nigra, non ha mai preso corpo. Cosicché, dopo il romanzo "ottocento" , la Televisione adiuvante, è nato un personaggio politico che lavorò per le fortune d'Italia anche attraverso un'alcova imperiale ....

Vediamo da vicino l'uomo della . . . leggenda e inquadriamolo in una cornice storica che gli fa molto onore, se si pensa che egli è venuto alla ribalta della politica europea provenendo non - come in uso allora- da un ceppo nobiliare, ma da una modesta famiglia della piccola borghesia abitante in Canavese a Villa Castelnuovo (oggi Castelnuovo Nigra), a poco più di quaranta chilometri da Torino.
Egli nasce nel 1828: è chiusa la parentesi napoleonica a cui il padre aveva preso parte quale medico dell'esercito (la qualifica esatta è "cerusico" che deriva dal francese "chirurgien" ) ed è chiusa la parentesi dei moti del '21, avvenuti prima della nascita di Costantino. Ma quando, vinta una borsa di studio del Collegio delle Province viene a diciassette anni a Torino, nella capitale tira aria di carboneria e di congiure. E se non risulta abbia preso parte a cospirazioni, risulta che nel 1848 a vent'anni, si arruola volontario nella terza compagnia dei bersaglieri composta esclusivamente di studenti; combatte a Peschiera, S. Lucia, Calmasino, Coito, Rivoli dove il 22 luglio 1848 riporta una brutta ferita allo avambraccio destro. Durante la convalescenza il Nigra si addestra a scrivere con la sinistra e vi riesce così egregiamente che userà da allora in poi, indifferentemente, l'una o l'altra mano.
L'anno seguente, il 1849, conclude gli studi di giurisprudenza; la signorina Maria Barello, laureatasi recentemente con una tesi sul diplomatico canavesano, è riuscita a reperire e a far fotografare la pagina del registro universitario che contiene il verbale della seduta del 12 giugno 1849 dalla quale risulta che lo studente Costantino Nigra ottenne quarantun punto su cinquanta ossia una media di poco superiore all'otto.
Conseguita la laurea pensa a campare . . . Approfitta del primo, concorso bandito dal Governo, vi partecipa e nel 1851 entra come volontario, senza stipendio, al Ministero degli Esteri.
Il giovanotto, serio e volitivo, riesce ad emergere e a cattivarsi la simpatia del D'Azeglio, allora Presidente del Consiglio. Un episodio ci dice in quale conto il superiore tenesse il subalterno . . . senza stipendio. Si celebrano a Lesa, sul Lago Maggiore, le nozze di Alessandrina D'Azeglio con il Marchese Matteo Ricci. D'Azeglio che avendo sposato Giulia, la figlia del Manzoni, ne era genero, portò con sé al matrimonio della figlia il giovane segretario il quale aveva scritto una poesia in onore della sposa. Nell'epitalamio vi è un cenno con il quale il giovane poeta si rivolge al Manzoni :  ".......la persona veneranda del maggior vostro sacerdote.
O sommo cantor d'Adelchi, o pio Manzoni, a Lei sangue del sangue tuo, candidi giorni prega e gioie feconde e degna schiatta del tuo nome immortal. Giunge più grata al ciel la prece che il tuo labbro innalza".

Reso omaggio allo scrittore, Nigra presenta la terra della giovane Alessandrina, la cui la casata trae il predicato, che è anche la sua terra, 

"Fra l'Alpi e la maggior Dora,
e la sponda del superbo
per molte acque Eridàno,
ove, mugghiando, le dorate arene
disdegnoso di ponti Orco rivolve,
bellissima fra quante il sol riscalda
è una terra, di pampini e di messi
e di gregge feconda.
Ivi leggiadre le donne,
amico ai pellegrini il tetto,
e là coppa ospitale, ed esultanti
di vendemmie, di caccie e di canzoni
le colline e le valli......"
 

L'avvio, come si vede, attinge a una tavolozza pittorica che delinea la terra canavesana forse meglio di quanto non avrebbe saputo fare il D'Azeglio con il suo pennello. Nigra continua con il ritmo dello endecasillabo incisivo e ... solenne "A me fu patria, e Canavese ha nome, la superba contrada. In su la riva d'un quieto lago, di
ridenti ville coronato e di selve, antiquo s'alza un castello, di mura ardue e di fosse un dì cerchiato: a tergo alta gli sorge folta d'ombre la Serra e di lontano le sue merlate al ciel torri sospinge la domatrice di cavalli Ivrea.
Qui, giovinetta delle Grazie alunna, ebber la culla i padri tuoi".

In una all'avv. Antonio Talentino di Castellamonte, in data 9 ottobre, si legge che il poeta non è contento dei versi, perciò non li aveva inviati all'amico. Tuttavia annota: "Essi caddero sotto gli occhi di Manzoni e il buon vecchio fu così mite nel suo giudizio da lodarmeli".
E' pressapoco di quel tempo l'Ode al mio cavallo che ha un andamento bersaglieresco. "Alta la testa, mio bel Leardo, le nari aperte, fosco lo sguardo, tu squassi all'aure lucida e nera superbamente la tua criniera;
il suoi battendo coll'avid'ugna cerchi la pugna, cerchi la pugna".

Siamo nel 1846 e Nigra è dunque studente universitario; la poesia però sarà resa nota solo nel 1854, dopo il carme in onore di Alessandrina d'Azeglio. Poiché siamo in tempi risorgimentali l'Ode finisce con questa sorta di invocazione a cui egli due anni dopo darà una coraggiosa conferma partendo volontario.

"Oh, se una volta lasciati i carmi andrò alla pugna, stringerò l'armi alza la testa mio bel Leardo, apri le nari, sia foco il guardo, squassa per l'aure lucida e nera ferocemente la tua criniera, batti la terra con l'avid'ugna corri alla pugna, corri alla pugna".

Non stupisce che, con questi precedenti, quando il D'Azeglio cede il posto a Cavour, segnali il Nigra con particolari parole al successore e infatti il giovane impiegato si guadagna ben presto la stima del nuovo superiore e ne diventa segretario particolare. Cosicché nell'agosto del 1853 viene promosso applicato di quarta classe con L. 1.000 annue di stipendio e due anni dopo prende parte al viaggio di Vittorio Emanuele II alle corti di Parigi e di Londra; viene nominato console di prima classe,
II giovanotto - e che giovanotto! - è ormai noto anche fuori degli uffici ministeriali. Come uomo ha tutte le doti per far girare la testa alle fanciulle sia per l'eleganza che in lui è naturale, per la conversazione piacevole e suadente, per la testa eretta, ornata da una capigliatura, oggi diremmo "beat", che conferisce al volto qualcosa fra l'artistico e il romantico.
Un profilo di Vittorio Bersezio ce lo presenta nelle vesti di un "dandy" perfetto; perfino con calzoni da cavallerizzo, speroni e frustino (il tutto . . . senza possedere il cavallo: si limitava a frequentare la scuola di equitazione) e con un certo mantello rigettato sulla spalla che doveva dare alla persona alta e slanciata, un fascino da ammazzacore.
Tutto questo mentre è studente e si guadagna qualche soldo come ripetitore; poi dopo la ferita a Rivoli, dopo l'assunzione al Ministero, le cose cambiano: è in vista il matrimonio che viene celebrato il 17 settembre 1855, l'anno del viaggio con il Re a Parigi e a Londra. Sposa Emerenziana Vegezzi Ruscalla, la figlia di Giovenale, uomo colto, ricco e introdotto nel mondo politico. Nigra ha ventisette anni, la ragazza, dieci meno. Che lei potesse essere innamorata si spiega; si spiega meno lo amore di lui. Probabilmente non furono estranei il calcolo e le possibilità della carriera:
diventava egli genero di un uomo autorevole e nipote di quel Francesco Saverio Vegezzi che già deputato, diviene ministro delle finanze nel 1860 nel Gabinetto Cavour.
Di questi giorni mi è capitato fra mano un fascicolo, curato dal prof. Corrado Grassi dell'Università di Torino, che riproduce uno scritto del 1862 di Giovenale Vegezzi Ruscalla sulle origini di Guardia Piemontese in Calabria. Il fascicolo mi ha svelato la passione di glottologo del Vegezzi Ruscalla e per Nigra la glottologia era la passione prima; è probabile essa sia stata il punto di partenza per un contratto che dal piano dialettale passò a quello . . . matrimoniale .
Se ci fu calcolo Nigra sbagliò perché ben presto gli eventi dimostrarono come egli fosse in possesso di carte che gli avrebbero concesso di giocare da solo, senza aiuti di terzi, la sua fortuna personale.
Tant'è. Matrimonio poco felice, che si dissolse praticamente in poco tempo e non fu la nascita, il 17 luglio del 1857, del figlio Lionello a saldare i due coniugi, tanto più che il carattere nevrotico della moglie andò sempre peggiorando.
Il diplomatico lontano dalle rive del Po e la moglie nella sua villa sulla collina torinese, chiusa in sé stessa, lontana da lui e da tutto il suo mondo. Risulta che i rapporti con la famiglia Vegezzi Ruscalla il Nigra li tenesse tramite la cognata Isa in Melisurgo, scrittrice.
Nel 1856 la prima impresa di uomo di fiducia di Cavour che lo porta con sé a Parigi al Congresso delle Grandi Potenze, dopo la campagna di Crimea. Lo statista piemontese ha vinto la rischiosa partita e a Parigi gioca la grossa carta nel concerto europeo dei leoni. Egli è appena, a giudizio del plenipotenziario austriaco Conte di Beust, "le petit chien hargneux"; però il piccolo cane rognoso darà del filo da torcere alle Grandi Potenze e sarà suo collaboratore il giovane capo di gabinetto Costantino Nigra.
Cavour ha il suo progetto; legare la Francia alle sorti del Piemonte per liberare la Penisola dalle forze austriache e dai satelliti. L'impresa, tenuto conto del peso dello Stato piemontese è da ritenere pressoché folle, ma Cavour già era stato un folle avveduto quando mandava 15.000 uomini in Crimea a dispetto di tutti coloro che lo accusavano di sanguinosa megalomania. Egli è un sottile psicologo; sa che Napoleone III vagheggia grandi cose in Europa; il nome lo richiama al Primo Napoleone di cui ambisce essere degno della stirpe, anche se qualcuno ne contesta la legittima
discendenza. Parigi è un faro che illumina tutta l'Europa, e tutta l'Europa guarda a Parigi; Cavour asseconda l'Imperatore nel gioco; se la Francia vuol essere veramente la potenza determinante della politica
europea deve mettere in ombra la potenza dell'Austria. L'Italia, egli suggerisce al terzo Napoleonide, può essere il terreno sul quale egli potrà ripetere le gesta dell'avo che con la campagna d'Italia iniziò la sua fortuna.
E Torino muove le fila; da Torino Nigra parte, attraversa il Moncenisio e arriva a Parigi. Il Piemonte ha colà, quale rappresentante, un uomo di poco conto: il Marchese Pes di Villamarina.
Cavour non è per niente entusiasta del diplomatico; ci vuole ben altro per agganciare Napoleone III. Ci vuole Nigra che possiede una intelligenza aperta e duttile, una dialettica sottile e cattivante, la prestanza fisica, la cultura, la finezza di un nobile e gli accorgimenti di un vecchio del mestiere ( e questo "vecchio" non ha ancora trent'anni).
Possiede inoltre una discrezione che gli consente di non dare troppo nell'occhio. Lo stesso Villamarina si accorge tardi della sua azione circospetta e silenziosa. Prima protesta e poi si rassegna; riconosce che il giovanotto sa pilotare la barca meglio di lui. Cavour tesse la sua tela; ha stabilito di incontrarsi con Napoleone III a Plombières e a Plombières, il giorno 11 luglio 1858, Napoleone si impegna a venire in Italia ad aiutare il Piemonte con 200.000 uomini: chiede, oltre al Nizzardo e alla Savoia, una principessa di sangue reale per suo cugino Gerolamo Napoleone.
La dinastia napoleonica è di data recente mentre i Savoia si appoggiano a otto secoli di storia; la principessa Clottide di sedici anni sposerà il trentaseienne Principe Gerolamo Napoleone detto "plon plon".
Le trattative per il perfezionamento dell'accordo si svolgono attraverso il Re, Cavour e Nigra.
Villamarina, il quale resta appena una facciata dietro la quale si muove il canavesano, scrive al Cavour il 4 settembre 1858 che il giovanotto possiede "une modestie rare par le temps qui court".
Cinque giorni dopo questa lettera, Cavour ne scrive una al collaboratore in cui dice: "Non le dò ulteriori istruzioni, perché a quest' ora ella sa condurre la barca al pari per non dire meglio di me".
L'entusiasmo del maestro per l'allievo era tale che giunge a scrivere queste altre parole: "Egli ha più talento di me, conosce perfettamente le mie intenzioni e le sa eseguire come niun altro".
Ancora: "Je suis sur de lui comme de moi mème".
A Parigi se avesse dovuto operare Cavour di persona probabilmente le cose sarebbero andate male; aveva molti nemici poiché aveva attraversato con la sua politica la strada a tanta gente; godeva fama di anticlericale e di appartenere alla massoneria, titoli sgraditi all'Imperatrice e al partito cattolico .
Fisicamente poi non era quel che si dice un bell'uomo e anche questo conta; l'allievo esattamente l'opposto. Nigra è un signore nel gesto, nel portamento: Cavour un tracagnotto, punto elegante, la cui furberia alimenta sospetti, inoltre lo si considera uomo di pochi scrupoli. Nigra è meno scaltro ma più penetrante, non ha forse l'abilità del maestro ma lo supera nello stile, in quelle che i francesi definiscono le "nuances". L'uno completa l'altro e si direbbe che l'ingegno dell'uno integra quello dell'altro. Un binomio perfetto .
Nigra ha lavorato egregiamente e segretamente; torna a Torino ma a Parigi verso la fine del 1858 le cose si complicano. Il Principe Gerolamo Napoleone scongiura Cavour di rimandare in Francia il suo allievo e Cavour per quanto spiacente di doversi privare "dell'aiuto immenso che egli gli da" acconsente. In una lettera di quel tempo si legge: "Poiché è una necessità, mi rassegno a lasciarla a Parigi finché non siano spianate le difficoltà che le negoziazioni faranno sorgere. Questo sacrificio mi costa molto, poiché quando ella è lontano da me, mi sento mancare il mio più valido appoggio: ma lo faccio senza esitazione qualunque siano le conseguenze per me. Dal canto suo sacrifichi la modestia e le considerazioni personali al supremo interesse della Patria".
Che le cose a Parigi non procedano lisce lo prova un brano della lettera che Cavour scrive al Nigra in data 1 gennaio 1859: "Io non sono senza inquietudine; finché lei sarà a Parigi terrà testa a Walewsky, ma quando lei non ci sarà più come farà cotesto povero Villamarina? Io fatico molto a marciare senza di lei".
Il 13 gennaio il giovane diplomatico poteva scrivere al suo Capo queste parole: "Qui termina la mia missione. Essa non è sempre stata facile né comoda. Ma ho trovato nella fiducia del Re e di V. E. e nella mia profonda devozione alla nobile causa italiana, la forza necessaria per adempierla degnamente e con coraggio. Ho la coscienza di avere fatto tutto il mio dovere. Io l'ho informata di tutto ciò che sono venuto a sapere e di ciò che ho creduto di potere indovinare ed ho tenuto, povero ed oscuro impiegato, all'Imperatore ed al Principe, un linguaggio che molti ambasciatori non avrebbero avuto il coraggio di tenere. Ecco infine il Principe a Torino munito di istruzioni e di
pieni poteri dell'Imperatore".

Tono e parole non prive di un certo orgoglio; ingiustificato? Non direi. Questa non è immodestia, è consapevolezza del proprio valore. Nigra riprende la strada di Torino; poiché è inverno scende sulla costa Azzurra, raggiunge Nizza e di qui Torino. Gerolamo Napoleone sposa la principessa Clotilde il 28 gennaio. Matrimonio gelido. La Marchesa
d'Azeglio scrive al figlio Emanuele -ministro a Londra del Re di Sardegna - : "Ce mariage a soulevè d'abord une opposition generale dans toutes les classes de la population. La noblesse l'a manifestée en n'allant point a la première du théàtreet au bai Cavour".
E precisa il padre Roberto al figlio, che a questo ballo di Cavour "il n'y avait que cinq dames appartenant a l'aristocratie. Ce qui a resolu le Roi a n'en point donner, disant qu'on l'avrait traité de mème".
Vittorio Emanuele amava la sua Clotilde e il sacrificio gli costò molto. Egli rinunciava alla parte migliore della sua famiglia. Il dolore e l'angoscia sono avvertibili nella seguente lettera diretta all'Imperatrice.
"Mia cara sorella e Madama, io vi faccio un dono di mia figlia. Prego la Vostra Maestà Imperiale, che è così gentile e che, nella sua gentilezza, ha avuto pietà del padre, di prenderne sotto le sue ali la figlia, perché la poverina è assai giovane e ha bisogno di una sorella così buona che l'aiuti con i suoi consigli. Io spero che vi piacerà: essa è come una pernice e non ha altra ambizione che quella di esservi gradevole. Perdonate queste mie parole: ma io sono sempre, mia cara sorella e Madama, con molto affetto e con grande rispetto della Vostra Maestà Imperiale
Affezionato fratello Vittorio Emanuele II".
Diremo subito che la "pernice" non si trovò mai a suo agio nell' ambiente parigino, anzitutto per ragioni di tradizione; ella era fiera della sua ascendenza nobiliare e sdegnava una Corte che di ascendenti nobili non ne aveva e poi per ragioni di cultura e di severità di costumi, severità inesistente alla Corte Imperiale - dove regnava la mondanità - rigidamente coltivata a Torino .
Lo storico Roberto Sencourt postilla: "Tutta la sua vita era passata in un grigio pietismo e, nel compiere con tanto fervore i suoi doveri cristiani, così come essa li concepiva, pareva una figlia di Calvino messa di fronte a una maestra di ballo sivigliana". Nessuna meraviglia quindi se Clotilde fu una "parigina" fuori corrente e non riuscì mai a inserirsi
nell'alveo ambientale delle Tuileries.
Gerolamo Napoleone arriva dunque a Parigi con la principessa sabauda; ciò non basta a placare le avversioni per il Piemonte dell ' ambiente di Corte: Imperatrice e Walewski, Ministro degli esteri, sono nettamente contrari all'intervento in Italia e Napoleone tentenna.
Nigra, che era ritornato a Parigi, quando avverte che la situazione sta peggiorando invoca la venuta di Cavour, il quale confida al D'Azeglio: "Nigra essendo a Parigi,ho sulle spalle una montagna di lavoro che minaccia di schiacciarmi moralmente e fisicamente" e scrive al collaboratore "di sentire crudelmente la di lei assenza. Perché ella è stato il solo a sostenermi. Lamarmora ha degli alti e dei bassi che mi fanno disperare. Ci sono dei giorni e delle notti in cui sono veramente tentato di battere la testa nel muro. Ma spero che ella ritorni presto, coperto dagli
allori diplomatici e che io possa di nuovo appoggiarmi a lei".
Le cose andavano male: le Potenze si muovevano per indire un Congresso al fine di scongiurare la guerra e richiedere il disarmo del Piemonte; un dispaccio di Villamarina al Cavour da per perduta ogni speranza. Ma in mezzo a tanto caos l'unico che non perde la testa è Nigra che ha il titolo di "Consigliere di legazione", titolo scelto dal Cavour perché "non deve dar noia a nessuno, perché rimane mio capo di gabinetto e mette piedi nella legazione solo quando ci conviene". Egli ha sufficienti elementi in mano per scrivere al suo Capo: "Si faccia dunque coraggio, signor conte, e perseveri. Se l'occasione favorevole si presenta non se la lasci sfuggire e dia fuoco alle polveri.
Non si consigli che con il suo cuore e la sua alta intelligenza. Tutti gli uomini di Stato dell'Europa, presi insieme, non valgono V. E. I fatti finiranno per prevalere, ma io credo che il tempo urga e ritengo che non bisogna lasciare all' Inghilterra il mezzo di imporci un disarmo forzato".
Parole di coraggio del subalterno al superiore, il quale ne aveva bisogno perché ora a Torino ha contro anche il Re.
"E' ora abbattuto e irritatissimo; quest'oggi mi disse con molta amarezza che egli era deriso e tradito, che ciò che aveva preveduto accadeva, che l'Imperatore, una volta ottenuta la mano di sua figlia, non si curava più di serbare le date promesse, aggiunse che aveva ceduto alle mie istanze ed ai miei consigli e che ora doveva pentirsene". Commenta Cavour: "In altre condizioni di cose non avrei sopportato pazientemen te questi amari rimproveri. Li ho deposti ai piedi dell'orribile Calvario nel quale la diplomazia si prepara a crocifiggere di nuovo l'Italia .'...... Sono anch'io dell'opinione che il momento di agire sia giunto e la ringrazio del consiglio di non perdere la testa. Ma la tengo, di quando in quando fra le mani, perché non fugga" .
Nigra non ha motivi per essere tranquillo, tuttavia intuisce che non bisogna scoraggiare oltre il Conte e scrive: "Sia fermo, coraggioso, grande fino in fondo e soprattutto verso tutti. Finché l'Italia resta unita non è il caso di disperare" . E soggiunge: "E' per noi necessità e prudenza a un tempo il tenerci armati e respingere arditamente ogni intimazione da qualunque parte venga. Vi sono momenti nella vita di un popolo in cui l'audacia è prudenza" .
Cavour aderisce ai solleciti che gli giungono da Parigi, parte mail viaggio è senza fortuna e torna a Torino amareggiato. La progettata conferenza è la spada di Damocle che sta sul capo de1 Piemonte: si chiede al Nigra un parere telegrafico e il parere è così stilato: "O ammissione al Congresso sul medesimo piede delle Grandi Potenze o fin de non recevoir".
Che accadrà? Vittorio Emanuele scrive a Napoleone che egli è disposto ad abdicare con tutte le conseguenze relative, Cavour minaccia più gravi risoluzioni .... - ma a nulla servono queste minacce poiché il 18 aprile Napoleone telegrafa a Torino d'accordo con l'Inghilterra, imponendo di accettare il disarmo.
Ma l'Austria, indignata della "petulanza piemontese" rifiuta la proposta dell'Inghilterra e accettata dalla Francia, di far partecipare al ingresso gli stati italiani con voto consultivo e spedisce per conto proprio un "ultimatum" a Torino: il Piemonte deve disarmare entro tre giorni.
E' la guerra per la quale Cavour aveva lavorato con Nigra senza misurare le energie. Il 23 aprile la Camera concede al Re i pieni poteri. Uscendo dalla seduta il Primo Ministro esclama: "Alea jacta est. Esco dalla tornata dell'ultima Camera piemontese; la prossima sarà quella del Regno d'Italia.
Abbiamo fatto della storia e ora andiamo a pranzo".
Perché, Signori, ho fatto questa rievocazione? Per illustrare la opera svolta da Costantino Nigra nella preparazione della guerra del 1859, risolutiva per la sorte dell'Italia? Non per questo; farei torto a lor Signori se supponessi non sia conosciuta la pagina di storia scritta da Cavour e dal suo collaboratore; la ragione è un'altra: nella lunga rievocazione di fatti storicamente accertati si sono incontrate tre donne.
La prima è la Contessa di Castiglione e precisamente Virginia Oldoini Verasis, per gli intimi "Nicchia" (fra questi intimi c'era stato anche Vittorio Emanuele . . . ). La bella e avvenente signora era stata mandata a Parigi da Cavour nel 1856; la Contessa aveva ventun anni e aveva sposato a diciannove il Conte di Castiglione addetto alla Casa di Vittorio Emanuele. Cavour aveva "arruolato nelle file della diplomazia la bellissima Contessa di Castiglione per "coqueter" e per sedurre, ove d'uopo, l'Imperatore" così in una lettera al Conte Cibrario,Ministro degli Esteri; infatti la Castiglione
sedusse l'imperatore ma la diplomazia piemontese non ebbe vantaggi di sorta; quando Nigra arrivò a Parigi nel 1858, la fiamma era già spenta. Nigra partiva dunque da zero.
La seconda donna è la Principessa Clotilde; l'assenso al suo matrimonio con "Plon plon" fu determinante per l'alleanza con la Francia; il padre l'aveva lasciata libera di accettare o respingere la richiesta di Napoleone, ma la fanciulla era già abbastanza donna per comprendere che cosa avrebbe significato il suo no e disse un sì che gli storici le accreditarono come uno stoico sacrificio, tenuto presente fra l'altro, che ella, religiosissima, sapeva di andare sposa a un ateo e a un libertino.
La terza rappresentante del gentil sesso è l'Imperatrice Eugenia, la spagnola Contessa di Montijo: noi l'abbiamo scorta solo fra le quinte.
Ella pure molto religiosa si sentiva fiera di essere nume tutelare della Chiesa; la presenza delle truppe francesi a Roma che proteggevano il Papa, rappresentavano per lei un titolo di alto merito e pertanto il Piemonte che aveva perseguitato Chiesa ed ecclesiastici, che aveva un Re alquanto spregiudicato ed era diretto in politica da un uomo come il Conte di Cavour, per nulla ossequente ai precetti religiosi, non godeva le sue simpatie. In considerazione di ciò era logico che ella non fosse favorevole alla politica del marito e facesse di tutto per scongiurare 1' intervento della Francia in favore del Piemonte.
Questa è la storia .... Ma, convengo, per un romanziere questo panorama femminile è un pò grigio e non sarò io a misconoscere i diritti della fantasia. . . . ma ritengo che questi diritti, quando si tratta di storia, diciamo così, a portata di mano, vadano usati con parsimoniosa misura.

E la storia dice che nel biennio 1858-59 Costantino Nigra non fece corte di sorta all'Imperatrice, perché egli si muoveva nell'ambiente parigino in veste di personaggio-ombra, il quale aveva tutto l'interesse di lavorare senza dare nell'occhio. In un primo tempo agì con tale circospezione che neppure il nostro rappresentante, il Marchese Pes di Villamarina, lo avvertì.
Afferma il pronipote Dott. Costantino De Rossi Nigra in un discorso pronunciato al Rotary d'Ivrea nel 1964: "Come agente segreto il Nigra si presenta a Saint Cloud solamente nell'agosto del 1858 e conferisce ripetutamente con Napoleone III senza formalità di protocollo fra lo stupore dei cortigiani, ai quali riesce incomprensibile che l'Imperatore tenga in gran conto quel giovanotto che pronuncia tanto male un francese tuttavia correttissimo. L'ufficiale di ordinanza dell'Imperatore scrive segretamente al fratello, Principe Henri de la Tour d'Auvergne, ministro di Francia a Torino, che "un certo signor Nigra, un bel giovane, molto elegante, era stato trattato dall'Imperatore come persona di alto rango. Si serviva di un nome fittizio? " .
Dopo questa citazione il De Rossi Nigra si domanda: "Come pensare che in quell'anno il giovane agente segreto sia stato "d'amor rapito" per colei alla quale certamente non era stato ancora presentato?".
La domanda è a un tempo una risposta al racconto del Gotta: niente idilli segreti, niente incontri clandestini - come abbiamo visto alla televisione - niente abbandoni, che sia detto per inciso, non sarebbero stati facili in un ambiente come quello delle Tuileries dove anche i muri avevano occhi e le porte orecchie.
Non è un mistero per nessuno che Napoleone III aveva una sua polizia personale e l'aveva anche l'Imperatrice perché intendeva essere informata delle imprese più o meno sentimentali del marito. Infatti la tresca con la Castiglione la seguiva nei suoi sviluppi giorno per giorno. Per trovare qualcosa che offra lo spunto per un romanzo e crei una leggenda, bisogna arrivare al 1860.
Cavour che si era dimesso a causa di Villafranca, torna al potere dopo alcuni mesi di lontananza, coperti dal ministero Rattazzi - Lamarmora dimostratosi impari ai tempi ed agli eventi. Il Conte il 20 gennaio 1860 è dunque di nuovo Presidente del Consiglio e lo sguardo è ancora a Parigi, da dove il suo occhio non si è mai staccato, dove Nigra vi torna in veste di capo della delegazione,anche per sollecitazione del Principe Gerolamo Napoleone, il quale scrive che il Canavesano "è sempre riuscito e riuscirà ancora, farà in tre giorni più che gli intermediari attuali in tre mesi" .
E la conferma di questa verità Cavour la trova in una lettera del 2 maggio nella quale Nigra comunica al suo capo che l'Imperatrice comincia a ricredersi sul di lui conto ed aggiunge: "D'altronde ella si mostra molto amabile per le persone di questa delegazione".
Cavour di fronte a queste linee prende fuoco e risponde: "La sua conversazione con l'Imperatrice mi ha entusiasmato. Evidentemente essa vivuo sedurre. La lasci fare e non sia troppo "Giuseppe". Alla lunga la sua influenza potrebbe nuocere. Non bisogna trascurare nulla per renderla favorevole alla nostra causa. Le ripeta che noi italiani la troviamo seducente. Del resto mi pare che ella non abbia bisogno di lezioni, ma che sappia cavarsela alla Richelieu ed alla Metternich".
E' tutto. Per la storia non c'è altro. Cosicché fondatamente il mio concittadino Michelangelo Giorda (che del Nigra ha dato il profilo più obiettivo che io conosca), da storico che non si lascia prendere la mano dalla fantasia commenta: "Noi non sappiamo e nessuno sa veramente se l'Imperatrice abbia subito il fascino del biondo canavesano o viceversa: quello che è certo si è che, da perfetto gentiluomo, il Nigra non parlò né lasciò traccia della sua presunta avventura. Ma il nostro romanziere alla fantasia "ha dato" come si suoi dire corda. Non vi fu tresca - come abbiamo visto - negli anni 1858-59 perché Nigra risiedeva a Parigi in forma quasi clandestina, senza opportunità e senza intenzione di frequentare circoli e salotti e, tanto meno, data la natura della sua missione, la corte imperiale". Sono parole del Dott. De Rossi Nigra che sottoscrivo come sottoscrivo le altre secondo le quali il suo parente, lasciato il Canavese, si può dire pressoché definitivamente dal 1851, allorché entra nella carriera statale, non ebbe amici intimi nella regione; l'unico amico, l'Avv. Antonio Talentino di Castellamonte , morto nel 1895, non risulta abbia continuato la relazione degli anni studenteschi. Poi bisogna tenere presente il carattere ossia il suo "estremo riserbo e la sua ripugnanza per la millanteria".
Una fonte a cui ha attinto Salvator Gotta sarebbe il figlio Lionello, il quale all'età di dieci anni avrebbe assistito nientemeno che a un litigio tra i due amanti; Lionello Nigra era nato nel 1857,il litigio sarebbe avvenuto attorno al 1866; la relazione avrebbe avuto la durata dunque, tenendo presente che Gotta ne parla come fosse già sbocciata nel 1858, all'incirca otto anni.

Per otto anni alla Corte di Parigi non ci sarebbe stato né occhio indiscreto né poliziotto in grado di avvertire l'Imperatore del servizio che gli rendeva il canavesano . E, dato il carattere del Nigra, che sapeva di giocare a Parigi la carta dell'Italia - non quella del suo cuore -, egli avrebbe compromesso la causa per la quale si batteva per un gioco erotico che non poteva non screditarlo e far crollare la sua costruzione diplomatica?
Vogliamo dirla chiara una parola sull'informatore Lionello? La pronuncia con molta misura il Dott. De Rossi Nigra: "Esso (l'episodio) è ancora meno credibile perché uscito dal cervello balzano di Lionello Nigra, un narratore portato spesso a confondere la realtà con la favola". Credo sia il meno che si possa dire di quel figlio degenere che , scialaquatore e scriteriato, un giorno sposò all'insaputa del genitore una contadina della Val Chiusella, sana e robusta. Tuttavia questo non è stato sufficiente per mettere al mondo un rampollo sano e robusto poiché il padre gli
diede sangue guasto, cosicché morì all'età di nove anni, si può dire, senza essere vissuto. Ho del fanciullo un ricordo visivo, a un tempo netto e penoso. A questo punto apro una breve parentesi: in meno di cento anni(1828-1905) la parabola dei Nigra era conclusa: l'Ambasciatore che nel 1882 Umberto I aveva creato conte, si spense il 1° luglio 1907 a Rapallo; il figlio Lionello moriva l'anno dopo per un attacco cardiaco a Vico Canavese, patria della moglie; il nipote Costantino il 24 aprile 1919 a Nervi. Lo stemma che l'Ambasciatore si era scelto con un motto araldico che bene contraddistingueva il suo carattere: "Aut e drit" ("alto e diritto") è oggi un ricordo. La parentesi è chiusa.
Si è ricamato molto da Salvator Gotta sul regalo dell'Imperatrice al Nigra di uno scrigno appartenuto a Napoleone I; il Dott. De Rossi va più in là e asserisce che l'Imperatrice offrì all'Ambasciatore anche un suo ritratto ad olio, nonché una riproduzione in marmo della mano destra.
Ma questi regali, osserva il pronipote, "vennero troppo apertamente conservati dal cautissimo ambasciatore per poter offrire materia di maldicenza".
Mi sia consentita a questo punto una breve rievocazione poetica: riguarda l'anno 1861; si tratta di un componimento che precede di due anni la famosa "barcarola", sulla quale mi fermerò fra poco. Il componimento fu noto solo nel 1875 ma venne composto nel 1861 (come si vede Nigra non era uomo che amasse la pubblicità e la gloria mondana).
E' la "Rassegna di Novara". Il poemetto si compone di 234 versi sciolti. Come dice il D'Ancona "è una specie di leggenda epica; materiata di storia e di fantasia. Immagina il poeta che ogni anno, alla vigilia del giorno dei Morti, Carlo Alberto sorga a mezzanotte dal suo sepolcro di Superga, "appoggiato sulla lunga spada", e d'intorno a lui accorrono i suoi capitani caduti nelle patrie battaglie. Sale in groppo al suo candido destriere di guerra e scende giù a corsa dal colle coi suoi compagni,finché giunge sul campo di Novara e ivi passa a rassegna i suoi morti".
Non darò che un brevissimo saggio, attingendo all' inizio della composizione. Le prime schiere sono quelle dei Carabinieri.

Del Re custodi e della legge, schiavi sol del dover, usi obbedir tacendo
e tacendo morir ....

Ecco donde l'Arma ha attinto il motto che la contraddistingue .... Non vado oltre perché il tempo
mi manca; trascuro i bersaglieri, i fanti, i granatieri, gli squadroni di cavalleria; nessuno è
dimenticato. Finita la Rassegna

"col brando
l'ombra regal da l'ultimo saluto alle spente falangi e si dilegua
nei primi raggi del nascente sole".

Torniamo alle vicende politiche parigine, alla "barcarola".
Questo episodio reca la data del 1863 ma ha un antefatto in quella che possiamo definire la
dinamica attività dell'Imperatrice. La quale,trascurata come moglie, si rifaceva come donna
politica e, poiché sapeva di essere bella e affascinante,usava questa carta per inserirsi nel gioco
diplomatico; di qui i suoi colloqui soprattutto con Metternich, che rappresentando l'Austria,
rappresentava in Europa l'antagonista più pericoloso e, nel contempo, più utile alla causa francese. Per l'Austria Eugenia aveva un debole, il debole derivava dal cattolicismo dell'Impero degli Asburgo che ella sentiva vicino nella
difesa dei diritti della Santa Sede.
Scrive lo storico Sencourt che aveva escogitato un piano per trasformare e pacificare l'Europa e quel piano  omprendeva, fra l'altro, una Polonia libera, un'Italia padrona della Venezia e altro ancora.
L'Imperatore, che teneva più della moglie i piedi per terra (l'Imperatrice era stata definita da Metternich "tutta fuoco e fiamme"), dichiarava: "Ciò che tu vuoi soprattutto è di poter fare un proclama ai francesi in cui dirai che hai ottenuto con la tua abilità ciò che le armi non potevano realizzare: l'Italia libera fino all'Adriatico, non più un quadrilatero con cui arrestare il più potente esercito del mondo; la Polonia ricostituita a spese dei trattati del 1815; il Reno un fiume francese. Se dopo tutto ciò l'Austria non esiste più, poco importa".
L'Imperatore vedeva chiaro, ma la moglie non desistette e preparò il piano di un'alleanza offensiva e difensiva fra Parigi e Vienna. Metternich naturalmente non prendeva in considerazione simili piani.
I quali, prevedevano che l'Austria dovesse fare le spese della situazione italiana e dovesse garantire l'indipendenza dei Borboni a Napoli e del Papa a Roma; ma Roma e Napoli stavano a cuore agli italiani quanto la Venezia e si spiega pertanto la sorpresa provata da Nigra il 19 maggio 1862 quando, in occasione di un pranzo al Trianon, l'Imperatrice lo invitò a bere insieme con Walewski al trionfo dei suoi progetti. E' bene sottolineare che le simpatie di Walewski per l'Italia non erano superiori a quelle dell'Imperatrice.
Scrive il Sencourt: "Subito dopo il pranzo Metternich le disse che lo scherzo non gli era parso conveniente, ma ella non era donna da ricevere consigli e fece venire a sé l'Ambasciatore italiano..
- Che cosa desiderate da me, signor Nigra? - ella gli chiese.
- Vorrei rivolgervi una preghiera.
- Il momento è mal scelto, comunque sentiamo.
- Vorrei che V. M. fosse un pò meno ostile verso di noi ed usasse la Sua influenza presso
l'Imperatore per fargli ritirare le truppe da Roma.
L'Imperatrice montò sulle furie.
- Io mi romperei con Voi piuttosto che dar mano al Vostro brigantaggio. Ah, voi volete che noi Vi
accontentiamo sempre in tutto e per tutto . Siete insaziabili. Voi chiamate briganti i sudditi fedeli del Re di Napoli. Come Vi chiamereste Voi? Siete Voi che rubate ciò che è degli altri. Voi volete che noi seguiamo il Vostro esempio. Ma ricordatevi bene: il giorno della vendetta verrà. I Mazzini e i Garibaldi si moltipllcheranno nelle Vostre bande: e il giorno in cui non ne potrete più Vi assicuro che io non verrò a darVi alcun aiuto.
- Francamente V. M. è troppo ingiusta - Nigra esclamò - Ed a mia volta mi permetto domandarvi se il Re non fa oggi in Napoli ciò che l'Imperatore ha fatto ieri in Francia. Eugenia si irritò anche di più.
- Non dite queste cose a me. Non paragonate l'Imperatore al Vostro brigante: l'Imperatore non ha derubato alcuno; egli ha trovato la Francia abbandonata, il trono vuoto ed ha salvato la Francia schiacciando gli uomini del Vostro stampo. Nigra prese il cappello, si alzò e se ne andò. Ella allora si rivolse al Metternich in tono di scusa spiegando che si era lasciata trasportare dall'odio che le ispirava l'agente di Cavour". Continua lo storico: "Ma la rottura fu presto accomodata. Un anno più tardi Nigra fu invitato a Fontainebleau e ritornò alla sua carica diplomatica. Insieme con l'Imperatrice e con una dama che aveva conquistata alla sua causa Nigra uscì in gondola sul piccolo lago. La dama di compagnia gli chiese di cantare una "barcarola". Nigra ne intonò subito una, nella quale inneggiava alle grazie ed ai meriti dell' Imperatrice ed accennava alla speranza che a lei l'Italia sarebbe stata in debito della Venezia". Fin qui lo storico francese.
La storia della "barcarola" è stata raccontata dal Nigra stesso con maggior precisione in una lettera indirizzata al veneziano Alberto Cavalletto. "L'Imperatore Napoleone III, negli anni 1862-63, quando studiava le imprese navali di Giulio Cesare, aveva fatto riunire sullo stagno di Fontainebleau un certo numero di imbarcazioni a remo, diverse di origine, di forme e di destinazione. Egli le sperimentava nelle tiepide ore estive navigando sullo stagno ora sull'una ora sull'altra, e l'Imperatrice Eugenia amava anch'essa fare il giro del piccolo lago in barca al chiaro di luna. Ma nessuna di quelle imbarcazioni era abbastanza vasta e comoda per accogliere l'Imperatrice e una parte almeno del suo seguito. Ella fece quindi venire da Venezia nella primavera del 1863 una gondola e un gondoliere. Una bella sera di giugno di quell'anno al gondoliere Luigi Zanitello fu richiesto di cantare, vogando, una canzone veneziana. Ma egli non aveva voce e non sapeva cantare. Io ero quella sera nella gondola imperiale con altri ospiti, tra i quali ricordo la poetica figura della Duchessa Adele Colonna d'Affrey, prematuramente morta di poi. (E' questa dama che, secondo il Sencourt, il Nigra aveva conquistato alla sua causa?). Io dissi all'Imperatrice che se desiderava una canzone io gliel'avrei trovata. La proposta fu accolta. La canzone, che è quella qui scritta, era pronta per la sera seguente e
approvata prima da Prospero Merimée, che era uno degli ospiti, la recitai all'Imperatrice in gondola.
L'Imperatore seguiva dappresso in altra barca. Ascoltò la canzone e si allontanò senza parlare". A questo punto richiamiamo i versi finali della "barcarola", in tutto trentadue settenari:

"Sopra il suo letto d'alghe posa il leone e aspetta che il dì della vendetta
lo venga a ridestar.
Donna, se a caso il placido tuo lago, a quando a quando teco verrà solcando
il muto Imperator
digli che in riva all'Adria povera, ignuda, esangue geme Venezia e langue-
Ma è viva ... e aspetta ancor".

Noi sappiamo dal Nigra che l'Imperatore "ascoltò la canzone e si allontanò senza parlare". E l'Imperatrice a cui il Nigra si era apertamente rivolto come reagì? Nigra non ce lo dice. Il Sencourt asserisce invece che "l'Imperatrice bruscamente interruppe la serata e aggiunse: "Queste insinuazioni non mi fanno certo piacere" essa esclamò; "fino a quando vivrò non farò certo alcuna pressione sull'Austria". La nota in calce alla pagina dice: Archivio di Vienna.
L'episodio viene di là, si tratta evidentemente di una relazione al suo Governo del Principe Metternich il quale, con tutta probabilità era presente alla festa.
L'Imperatrice dunque, secondo il documento austriaco, non ha cambiato idea sull'Italia, sul suo rappresentante diplomatico - il presunto amante! - sul suo Re. L'Ambasciatore poeta ha fatto del suo meglio ma, si direbbe, trattandosi di un lago, abbia fatto un buco nell'acqua. Vi è poi l'episodio del settembre 1870 quando cade l'Impero e viene proclamata la Repubblica. L'Imperatrice corse serio rischio di essere aggredita dalla folla inferocita (la stessa
naturalmente che qualche anno prima l'aveva osannata) e Gotta dichiara che l'aver fatto il Nigra tutto per sottrarla alla plebaglia è "una prova dello straordinario interessamento di un ambasciatore straniero verso l'Imperatrice dei francesi". E' vero, Nigra compì quel gesto ma come provano i documenti, non da solo; era in compagnia del suo antagonista Riccardo di Metternich, ambasciatore austriaco, che si dice godesse delle simpatie dell'Imperatrice. I due compirono di comune accordo un gesto di genuina cavalleria, il meno che potessero fare in un frangente del genere per colei che in quel momento rappresentava l'Imperatore, in quanto era reggente, ossia il Capo dello Stato. E si deve a un tratto di spirito del Nigra che ai ragazzacci i quali gridavano "Voilà l'Imperatrice" contrappose: "Voilà les prussiens", e la carrozza potè allontanarsi. Anche questa trovata la dobbiamo mettere in conto dei lontani amori?
L'avere abbandonato l'Imperatrice fu giudicato un atto pusillanime da qualcuno, ma il Nigra nel 1906 ricostruendo l'episodio precisava: "Sua Maestà scesa la gradinata del Louvre al mio braccio, io la misi in una carrozza (un fiacre predisposto) e volli io pure salire sulla stessa carrozza per accompagnarla, ma Essa preferì avere al suo fianco soltanto M. me Lebreton, sua lettrice, per non compromettermi. Io salii in un altro fiacre ed ordinai al cocchiere di seguire quello che portava con sé grande parte della fortuna dell'Impero. Ma la folla ci divise e, malgrado ogni mio tentativo, non potei raggiungerla e non seppi dove l'infelice fuggitiva aveva deliberato di rifugiarsi, se non tre giorni dopo".

I cronisti del tempo, non esclusi gli scandalisti di professione come Maxime du Camp (che nei suoi "souvenirs" non ha risparmiato neppure il Nigra, dirò, uomo d'affari) non hanno alcun cenno sulla presunta tresca né proiettano alcuna ombra sull'onestà dell'Imperatrice; la quale avrebbe avuto più di un motivo per restituire al consorte pan per focaccia . Le avventure dell'Imperatore si susseguivano in serie; nel 1865 la femmina di turno era una certa
Margherita Bélanger, una donna di bassa condizione che l'Imperatore aveva installato in una casina a Fontainebleau.
Eugenia ne era disgustata in sommo grado e si espresse con il Walewski nei seguenti termini: "Non supponete che non mi sia mai accorta dell'infedeltà di quest'uomo. Ho fatto di tutto; ho tentato perfino di renderlo geloso. Ma tutto fu vano. Tuttavia questa volta è caduto così in basso con questa "crapula" che io non posso resistere più a lungo". La frase è tolta dal libro del Colonnello Wellesley "L'ambasciata di Parigi".
II Filon, altro memorialista dell'Impero, dice "che non era facile ingelosire Napoleone. Egli conosceva troppo bene la virtù dell'Imperatrice ed era troppo sicuro del suo attaccamento al trono e della devozione per suo figlio. D'altra parte aveva ben saputo che essa aveva avuto molti ammiratori. C'era stato un giovane spagnolo che aveva perduto, per lei, la ragione. C'era stato il Conte Camerata, un parente dei Bonaparte, il quale si era tirato un colpo di rivoltella nel 1853. C'era Caro , il celebre filosofo. C'erano Offembach il musicista e Ottavio Feuillet il romanziere. Cosa più strana, c'erano stati il Ministro degli esteri austriaco, conte Beust e l'ambasciatore prussiano conte von der Goltz. "Il mio povero Goltz", l'Imperatrice era solita chiamarlo.
Il Sencourt non fa cenno alle eventuali simpatie di Eugenia per Nigra. Si limita a dire: "Ella si fece amici anche i quattro ambasciatori:l' italiano Nigra, il Conte Hubner, austriaco, che succedette al Principe Riccardo Metternich e l'inglese Lord Cowley. Con questi signori essa mostrò d'interessarsi alla politica delle varie nazioni, alle rivalità e alle alleanze ed ebbe anche modo di tradire una certa passione per gli intrighi che doveva esserle venuta fin da giovinetta frequentando la Corte spagnola. Abbordava anche gli argomenti più delicati con la maggior
arditezza. Quando un ambasciatore cominciava facendole un complimento convenzionale per la sua grazia, ella passava senz'altro a chiedergli informazioni sulle simpatie di una Corte straniera".
Sono interessanti questi altri particolari per colorire meglio la sua figura: "Intorno a lei c'erano molte amabili donne che le erano assai più care degli uomini. L'Imperatrice si compiaceva di affascinare gli uomini ma poco si curava della loro bellezza fisica e meno ancora delle loro attenzioni. Invece la bellezza di una giovane arrestava sempre il suo sguardo. Per essere damigella d'onore dell'Imperatrice la bellezza era un titolo indispensabile e spesso  ufficiente...........
Eugenia ammise nella sua vecchiaia che essa aveva sempre desiderato di essere circondata di belle donne. Avviene quasi inevitabilmente - osserva il Sencourt - che le donne (o gli uomini) che hanno questo godimento platonico della bellezza del loro sesso, se si sposano, sposano sempre coloro che solleticano più la loro ambizione che i loro sensi. Per l'Imperatrice era quasi incredibile che una donna dovesse sposare un uomo per la sua bellezza. "Belli o brutti, ella disse una volta, gli uomini sono tutti gli stessi alla fine di una settimana". E quando gli istinti della passione
provengono non dal sangue ma dall'amicizia e dalla ammirazione, si può essere sicuri che si tratta di una natura più ambiziosa e, qualche volta, più religiosa".
Continua lo storico nella sua analisi e nella sua . . . diagnosi: "Così si spiegano tante cose in Eugenia: il suo disgusto e la sua lunga fedeltà per il primo uomo che ha amato come pure il fatto che nessuno ne prese mai il posto; perché nessuno potrebbe affermare che essa abbia sentito una attrazione naturale per Napoleone III; si spiega come lei non sia mai stata attratta dalla dissipazione sensuale che caratterizza invece la Corte della Regina Isabella; si spiegano i suoi entusiasmi intellettuali e quel potere affascinante che si accompagnava alla sua vivacità. Si spiega, soprattutto, come la mentalità della donna intuitiva e impulsiva si accordasse colla prontezza della decisione, l'ardimentoso coraggio e lo spirito sportivo. Ecco dunque rivelato il mistero della parte che Eugenia rappresentò nella storia della Francia. Essa fu, dal principio alla fine, una donna brillante, di una fenomenale energia nervosa, ma fu anche uno di quei tipi leggermente anormali in cui gli impulsi naturali sono sostituiti da altre passioni, da qualche cosa che sta fra il senso e lo spirito e risiede più negli occhi che nel cuore "per dirla senza giri di parole, come lasciò scritto Lady Ethel Smyth, ella non aveva in sé alcuna sensualità".
Questa Ethel Smyth era una musicista che fu vicino all'Imperatrice per una trentina d'anni e aveva quindi elementi sufficienti per giudicare il carattere, la sensibilità nervosa ed erotica di Eugenia di Montijo.  Nel 1865 Bismark fece una visita in Francia; egli pensava di attaccare l'Austria e voleva tastare il polso del Governo di Parigi e, in particolar modo, della Corte dove sapeva che il Governo di Vienna godeva di particolari simpatie. Al suo ritorno in patria il Cancelliere di ferro dichiarò che in Francia aveva trovato due sole donne piacevoli: la Contessa Walewsky e l'Imperatrice e non un solo uomo; un ministro che lo aveva accompagnato nel viaggio aggiunse che un uomo c'era nel governo francese ed era l'Imperatrice . A questo punto è tempo di tirare i remi in barca. Cercherò
di tirarli ricorrendo alle parole della stessa Eugenia: "La mia leggenda è fatta; al principio del regno io fui la donna futile che si occupava solamente di chiffons; verso la fine dell'Impero sono diventata la donna fatale che si vuole rendere responsabile di tutti gli errori e di tutte le sciagure. E la leggenda ha sempre ragione della storia".  Sono parole amare intinte di scetticismo. In un certo senso le potrebbe pronunciare anche Costantino Nigra per la sua vicenda, chiamiamola, sentimentale. La leggenda ha sempre ragione della storia? E' proprio vero? Credo di no.
Comunque mi rifarò a uno storico, a cui la passione non fa veli , a Federico Chabod, che nel secondo volume del suo studio su la "Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896" cosi scrive a proposito della "barcarola": "Non è qui il caso di toccare il punto dei rapporti fra la Imperatrice e Nigra, che è quello in cui la storia svanisce nella leggenda. Basterà ricordare che ad esagerazioni di un genere, si è contrapposta l'esagerazione del Sencourt, secondo cui Nigra
avrebbe ispirato ad Eugenia non tenerezza bensì odio. La contraddicono non soltanto il ricordo che il Nigra serbò sempre dell'Imperatrice, la quale gli aveva fatto dono di una sua miniatura bellissima e la visita che Eugenia fece al Nigra a Venezia nell'estate del 1905 (osservo che Nigra ha 77 anni ed Eugenia 79) ma i precedenti giudizi di uomini bene informati come il Mérimée, il generale Fleury, il principe di Metternich, che parlano invece di un Nigra persona grata all'Imperatrice, nonostante i suoi scatti e rabbuffi a proposito delle questioni italiane e, soprattutto, del Papa".
Credo che le serene parole dello studioso Valdostano colgano il segno, e questa è anche la conclusione a cui è giunta la professoressa Barello, la più recente e diligente biografa del diplomatico canavesano: non esagerazioni da un lato non esagerazioni dall'altro; due vite . . . quasi parallele che si sono incontrate sul terreno della stima e, fors'anche, dell'amicizia, che si sono avvicinate fino a un gioco che potremmo chiamare schermaglie di Venere e Cupido senza che i dardi di questi siano andati oltre l'epidermide di quella. Il che, dopo tutto, non potrà spiacere al mio corregionario Salvator Gotta, al quale non va negato il merito di aver richiamato in vita, con il suo prestigio di scrittore, una figura che la polvere del tempo stava appannando. Signori, la mia chiacchierata, è conclusa; la rievocazione della ipotetica vicenda sentimentale si ferma al 1870 e trascuro certe code veneziane di anni più tardi che non sono storicamente più fondate di quelle sulle quali ci siamo soffermati.
Fermandomi al 1870 rinuncio a parlare del Nigra diplomatico dei empi successivi e si tratta di ben trentaquattro anni; queste vicende potrebbero essere materia di un'altra conversazione, poiché è molto vasta e vedremmo di quanta amarezza furono intinti quegli anni per Costantino Nigra. Ci limiteremo a ricordare che dopo Parigi egli fu destinato come Ambasciatore a Pietroburgo (1876 - 1-882), poi a Londra (fino al 1886) e quindi a Vienna dal 1886 al ritiro dalla carriera nel 1904.   Se ancora oggi i politici discutono attorno alle sue voluminose memorie, che non furono trovate e certamente da lui distrutte, e attorno alla sua figura di uomo che può essere investita come tutte le figure umane di ombre e di luci, nessuno discute i suoi studi storici sul Canavese , sulla lingua celtica e tutti ammirano, in patria e all'estero, un 'opera di filologia che onora l'autore e l'Italia: i "Canti popolari del Piemonte" . E' opera di studioso e di poeta, quel poeta che nella traduzione dal greco dell'elegia di Callimaco "La chioma di Berenice" eguagliò, se non superò, il
Foscolo. "I canti popolari del Piemonte", a cui attese per molti lustri, è opera che lo classifica primo nello studio della poesia popolare in Italia; è fatto singolare che un politico sopravviva per un'opera di poesia. Potrei concludere che la politica passa e la poesia resta; infatti concludo così.
Costantino Nigra,fra cent'anni,nel campo della politica si perderà fra le pieghe di un'epoca più o meno tormentata e forse negletta, ma nel campo della poesia sarà Costantino Nigra in tutte lettere.
La poesia cancella gli intrighi diplomatici e le vicende amatorie e costruisce un piedestallo dal quale egli può
guardare ai posteri, per dirla con il Manzoni, con "un cantico che forse non morrà 

COMMEMORAZIONE DI NIGRA PER IL CENTENARIO DELLA NASCITA

tenuta dal Conte Prof. Carlo Toesca di Castellazzo il 27 dicembre 1928

 Premessa

II conte prof. Carlo Toesca di Castellazzo, dell'Università di Torino, aveva il 27 dicembre 1928, — in occasione del Centenario della nascita di Costumino Nigra tenuto, nella sede della « Colonia Canavesana » di Torino, una Conferenza intitolata « Costan-lino Nigra e il Canavese », nella quale accanto a rapidi ed efficaci cenni della figura del Nigra, come uomo di Stato e diplomatico espertissimo — era specialmente ricordalo e tratteggiato il letterato, studioso della storia e della leggenda del Canavese, ed il cittadino innamorato e fedele della sua terra. Questa conferenza ripetuta poi, successi- vamente, nel 1929-1930, ad Ivrea ed in altri importanti centri Canavesani non era stata fin qui pubblicata, per ragioni varie. Siamo grati al prof. Toesca per aver consentito di riprodurla nel nostro Nazionale: e non crediamo, malgrado che qualche anno sia passato dal detto Centenario, che la parola, ed ora lo scritto, del prof. Toesca perdano di attualità: le memorie storiche (specialmente se riferite a uomini politici) si rafforzano e si consolidano col tempo.

In questo momento poi la figura del Nigra, come diplomatico, acquista un ulteriore risalto dai nuovi cenni che ne da S. E. il conte De Vecchi di Val Cismon, in un altro bellissimo articolo pubblicato nella «Nuova Antologia» del 16 gennaio (1934-XII) dal titolo « Dai Ricordi Diplomatici di Costumino Nigra », in cui ci offre finalmente notizia dei suoi « Ricordi Diplomatici », ri-producendone un nuovo capitolo inedito.

(Nota del Direttore del «Nazionale»

 — Non mi propongo qui di rievocare la grande, radiosa figura politica e diplomatica di Costumino

Ha già assolto a questo altissimo ufficio da pari suo — nel Centenario dalla nascita del Nostro — S. E. il Quadrumviro Conte Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, nella solenne commemorazione del Nigra da Esso tenuta il 1° luglio 1928 in Torino a Palazzo Madama, all'augusta presenza delle Loro Altezze Reali, il Principe di Piemonte ed il Duca d'Aosta, sotto gli auspici del Comitato Piemontese della Società nazionale per la Storia del Risorgimento (Nota 1).

Basti a me — in questo Circolo Canavesano, ove aleggia il più intenso e vibrante spirito di nostra gente e di nostra terra, di cui siamo figli devoti — ricordarlo e celebrarlo precipuamente come figlio della nostra ridentissima, verde e fiorita Prealpe, e come memore ognora — pur fra le agitazioni materiali e spirituali della sua intensissima vita politica e diplomatica, tutta spesa per l'unificazione e l'elevazione della patria

— della sua origine schiettamente Canavesana; e infine come appassionato studioso — nella poesia, nella storia, nella lingua e nelle più inleressanti espressioni folkloristiche del costume — della sua diletta terra natale.

Parmi così — con questa modesta, ma appassionata esaltazione di Costantino Nigra canavesano — di portare ad Esso — a nome di tutti i conterranei, che vivono e lavorano a Torino, in Italia e nel mondo — un postumo tributo di devoto omaggio e di viva riconoscenza che sia tutto nostro, che sappia il profumo dei nostri fiori (specialmente spirituali), l'alito delle nostre brezze alpine, il candore delle nostre nevi, e l'azzurro intenso dei nostri cicli primaverili.

Certo quanto dirò di Lui, quale studioso del Canavese, è una meno appariscente (se pur ugualmente degna) parte della sua meravigliosa e multiforme attività, della sua poliedrica vita, tutta materiata di manifestazioni insigni dell'ingegno e del sapere: ma è parte che più direttamente ci tocca e ci conquide, quali suoi conterranei.

Un qualche pensiero, uno sguardo — a così dire — panoramico, occorre però pur qui rivolgere alla maggior fatica del Nigra.  Essa fu — tutti lo sappiamo — la costruzione (di cui fu magna pars, accanto al genio di Cavour) dell'edificio italiano unitario !

La collaborazione sua a Camillo Cavour, dal giorno in cui questi — scopertolo al lavoro in giornata festiva, ancora modestissimo funzionario del suo Ministero — lo provò, e lo volle subito accanto a sé, facendolo ben presto depositario fedele, appassionato e consapevole dei suoi più intimi pensieri politici e dei suoi più alti ideali ed intuiti ricostruttivi della Patria: — la collaborazione sua (ripeto) all'insigne Statista piemontese nell'unificazione del Paese nostro, fu intensissima di giorno in giorno, vorrei dire, di ora in ora, con incessanti, unissone vibrazioni dei due poderosi cervelli e dei due cuori ferventi, fino alla morte immatura del grande Uomo di Stato che ancor rivolgeva al Nostro, fra i vaneggiamenti dell'agonia, parole profetiche, vaticinatrici dell'unità della Patria!

E' celebre — infatti — il giudizio di Cavour sul Nigra: « egli ha più talento di me, conosce perfettamente le mie intenzioni e le sa eseguire come niun altro » « II carteggio Cavour-Nigra », I, p. 4; e Chiala, «Lettere edite ed inedite di Camillo Cavour », III 124, 224).

Con felice incisiva sintesi ha pertanto detto di Esso, Emilio Pinchia (altro insigne Canavesano da poco scomparso) nel suo dotto « Itinerario Canavesano », che « Costantino Nigra fu l'uomo rappresentativo del Risorgimento. Volontario bersagliere nel 1848, poeta della Patria, ascese per armi ed inni ad alti gradi, negoziatore politico, seducente e perspicace, coltissimo. Riprodusse nel suo spirito l'Italiano del 1400, con l'onesto taglio subalpino, sul modello degli Ormea e dei Bogino » (p. 329).

Ripeto, come sia appena possibile sfiorare qui, negli accenni, l'opera poderosa, politica e diplomatica (magistralmente ricordata e riassunta nella rievocazione testé ricordata di Cesare Maria De Vecchi) e di cui sono monumento e dimostrazione insigne i volumi or pubblicati del « Carteggio Cavour-Nigra », dal 1858 al 1861, ad opera della casa Zanichelli di Bologna, e per cura della R. Commissione Editrice dei Carteggi Cavouriani.

La lettura dei detti quattro volumi (Plombiéres, La campagna diplomatica e militare del 1859, — La cessione di Nizza e Savoia e le annessioni dell'Italia Centrale, e La liberazione del Mezzogiorno) è sommamente interessante: bastano (infatti) i titoli dei Volumi, per far comprendere come il carteggio Cavour-Nigra, e cioè la copiosa, densa, nitida e nervosa corrispondenza epistolare scambiatasi fra Cavour e Nigra (nel duro ed incessante travaglio di quegli anni della riscossa nazionale) — e già prima raccolta, in parte, dal Canavesano Luigi Chiala, dal Bianchi, dal Mayor, dal Bollea, ecc. — non sia che il nocciolo della storia degli avvenimenti descritti nei detti volumi, in cui passano — attraverso alle lettere, anche più intime (e quindi più vicine all'anima degli insigni scriventi) — gli uomini più noti (italiani e stranieri) del patrio Risorgimento, e ne balzano fuori, in più netto e preciso contorno, fatti ed eventi.

Questi volumi — dice giustamente il Bosdari, nel numero del 16 novembre 1928 della Nuova Antologia

(numero dedicato al Centenario di Costantino Nigra) ritornano più esattamente e più completamente « sul

« grande periodo storico a cui si riferiscono, e ne riscrivono le vicende con ormai perfetta conoscenza di ogni recondito pensiero che guidò gli attori (tra i primi, il Nigra) dal dramma della formazione del Regno d'Italia, ed in modo speciale del suo protagonista, il Conte di Cavour ! ».

  • — Costantino Nigra nacque a Villa Castelnuovo (nella bella Valle di Castelnuovo, da Esso descritta nel suo « Natale » come vedremo) l'11 giugno 1828 dal Dottor Lodovico, di antica e distinta famiglia del

Suo avo materno fu l'insigne Prof. G. Bernardo De Rossi, docente espertissimo di lingue orientali, che trasfuse certo nel pronipote la passione alle ricerche linguistiche.

Bello, il Nostro, svegliatissimo d'ingegno, studiò alacremente — dopo i primi rudimenti elementari al Paese nativo — ad Ivrea, e poi a Torino, nel benemerito Collegio delle Provincie: uscì brillantemente laureato in legge, dopo avere valorosamente combattuto, quale volontario bersagliere, nella guerra del 1848-49, ed esser rimasto ferito nella battaglia di Rivoli il 21 luglio 1848.

L'11 luglio 1851, ventitreenne, venne assunto come volontario nel Ministero degli Esteri. Era, nel vecchio Piemonte, la via segnata ad ogni aspirante d'impiego: obbligato a prestare servizio non retribuito per molti mesi, talvolta per un biennio. E così il Nigra fu promosso applicato di quarta classe, con annue L. 1000 di soldo, nell'agosto 1853!

Non sdegnò il Nigra quel duro tirocinio, fidando — come avvenne — per una rapida e luminosa carriera, nella sua tenace volontà di lavoro, nella solida e svariata coltura, nel forte e duttile ingegno, assistito anche da elementi estrinseci non trascurabili mai: una bella presenza fisica, ed una grafìa stupenda che rispecchiava la chiarezza, sicurezza ed eleganza del suo spirito prodigioso.

« Alto della persona » — lo descrive infatti brillantemente Delfino Orsi in un interessante scritto sul Nostro (a cui l'Orsi fu legatissimo), nella citata nuova Antologia del 16 novembre 1928 — « sottile, spigliato, camminava a capo eretto, il busto svelto e snello e la ricca chioma inanellata, gli occhi brillanti, la fronte ampia e la ricercatezza signorile dell'abbigliamento, fecero presto di lui un irresistibile ».

Sono di quell'epoca le sue prime poesie, tra cui quella del 1854 — lodata da Alessandro d'Ancona — al suo cavallo, quando trascorreva con esso, i piani ed i colli del suo Canavese e...

  • « Allor che uditasi la sua pedala, Sotto una cara finestra amata,
  • Una fanciulla pudica e mesta, Gittava un fiore sulla sua lesta! »;

e due anni prima (1852) quella ben nota, in occasione delle nozze di Alessandrina d'Azeglio — figlia di Massimo d'Azeglio, allora Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli Affari Esteri (al cui Gabinetto apparteneva il Nigra) — col Marchese Matteo Ricci. La descrizione del Canavese, che egli fa in detta poesia (e che ricorderemo più avanti), è fra le più belle e suggestive, che io abbia mai letto della mia Terra. (Costantino Nigra, «Poesie originali e tradotte» a cura di A. D'Ancona, Firenze 1914).

Questa poesia fruttò al Nigra la considerazione e simpatia di Massimo d'Azeglio, che lo raccomandò poi al Cavour. L'episodio che si narra sulla fortuna del Nigra presso il Cavour è però il seguente: In un dì festivo — come già si accennò — il Cavour, che lavorava (come al solito) al Ministero, aveva bisogno di finire un rapporto urgente, e mandò un usciere a vedere se per caso vi fosse qualche impiegato in ufficio.

«L'usciere tornò» (ricorda Delfino Orsi) « dicendo che gli uffici erano deserti, e che « vi era soltanto un biondino, un giovinetto volontario. Cavour lo fece venire e lo pregò di coadiuvarlo nell'urgente lavoro, e poiché alla sera non era terminata l'incombenza, lo ritenne con sé il giorno appresso. Cavour, conoscitore rapido e profondo degli uomini, intuì subito il valore non comune di quel segretario fornitogli dal caso, e quando ne seppe il nome, ricordò il buon conto che ne faceva il D'Azeglio, e la raccomandazione di questi: lo tenne subito al suo Gabinetto, e ne fece in brevissimo tempo il suo più fido collaboratore ».

Cavour lo prescelse infatti, come suo segretario particolare, nell'autunno del 1855, allorché, pel viaggio a Londra e Parigi, il grande Ministro accompagnò Re Vittorio Emanuele a visitare gli alleati della guerra di Crimea, e cioè la Regina Vittoria e l'Imperatore Napoleone III. Viaggio trionfale fu quello che — se fece sacrificare a Re Vittorio dieci centimetri dei suoi lunghi baffi (taglio... cesareo impostogli da Cavour, perché gli Inglesi non parevano assuefatti a tanta abbondanza), gli valse però la completa simpatia dei Sovrani e popoli visitati, per la nobile franchezza del suo regale contegno.

E il conte di Cavour poi, che aveva già frequentato i Circoli parigini durante il regime orleanista, ottenne un vero successo in tutte le riunioni a cui intervenne. I parigini, com'è noto, sono grandi estimatori dello spirito, cioè di quella qualità che i Romani definivano : « argute loqui ». E questo dono, a tacere d'altri eguali e maggiori, il Cavour (e del resto, anche il fido suo Nigra) possedeva in altissimo grado.

Il risultato più importante della visita del futuro Re d'Italia a Parigi fu questo: in una riunione dopo pranzo alle Tuileries, l'Imperatore rivolse di botto al Conte di Cavour questa domanda: « Que peut'on faire pour l'Italie »? Cavour rispose non potergli dare una risposta immediata (data la importanza della domanda, e di chi la faceva) ; ma promise che l'avrebbe inviala da Torino. E la inviò tosto, sotto forma di Memoria. La Memoria fu compilata da Camillo Cavour, che la fece copiare dal Nigra, il quale scrive (in una primizia dei suoi Ricordi diplomatici, concessa per la pubblicazione alla Gazzetta del Popolo, l'11 novembre 1903):

« II Cavour me la lesse, guardandomi sovente in faccia, come se volesse spiare l'impressione fatta in me da quella lettura. Suppongo che in quel momento io facevo la parte della serva di Molière. Detta memoria fu mandata per corriere al Marchese di Villamarina, e posta sotto gli occhi dell'imperatore Napoleone. Essa è pubblicata e non ho a giudicarla. Le conclusioni erano assai modeste. Ma, nel copiarle, io vedevo disegnarsi tra le righe la grande figura dell'Italia unita! ».

Anche Costantino Nigra — sebbene in allora modesto segretario — si ambientò subito brillantemente a Parigi, in quella grande capitale francese, nella quale la sua figura doveva poi dominare eminente nel campo politico e diplomatico fin dopo la caduta del secondo Impero.

Ed a Parigi il Nigra ritornò, tra il 1856 e 1857, per temporanei incarichi: e poi fu magna pars, — pur rimanendo abilmente fra le quinte della ben riuscita scena — di quella famosa missione del 1858 (che prende il nome da Plombières) presso Napoleone III, anzi presso la Corte Napoleonica, che fruttò al piccolo Piemonte l'alleanza colla Francia e la gloriosa guerra del 1859!

Il lavorio diplomatico intensissimo del grande Ministro, mirabilmente assecondalo dall'abilità di Costantino Nigra (che compì la sua missione non ufficiale, e singolare nella forma e ardita nei mezzi, in modo preclaro: mentre sospettoso e quasi dolente ne era il rappresentante ufficiale a Parigi (marchese dì Vìllamarina), fu tale, ed il successo così meraviglioso, che Napoleone, quasi adirato, nei primi di quell'anno (per l'attentato Orsini), contro Vittorio Emanuele, che voleva indurre ad inaccettabili misure restrittive nel piccolo Piemonte, finì — per la fiera risposta del Re galantuomo (di cui nella celebre lettera 1° febbraio 1858 di Re Vittorio a Napoleone, tutta minutata da Cavour), e per l'abilità del grande Statista, dal Nigra coadiuvato alla perfezione — per diventare l'alleato del Piemonte nella grande guerra di riscossa nazionale.

E fu suprema gioia pel Nigra annunciare al Cavour — da Parigi — che gli ostacoli erano vinti, e concordare il discorso del Re Vittorio Binarmele, collo squillo di tromba del « grido di dolore » !

Venne la guerra del 1859, e vennero le inebrianti vittorie di Solferino e S. Martino, e la inconcepibilmente affrettata pace di Villafranca, voluta da Napoleone III (trascinatovi forse dalle suggestioni dell'Impera- trice lontana) e subita con eroico sforzo dal nostro Re: venne l'accorato risentimento di Camillo Cavour e la nota drammatica scena del 10 luglio 1859 a Monzambano, alla presenza del Sovrano — narrata da Delfino Orsi nel citato suo scritto —; vennero le dimissioni di Cavour, e poi il suo ritorno al potere, la delicata questione della cessione di Nizza e Savoia, e le prime entusiastiche annessioni delle Regioni dell'Italia Centrale.

Sempre il Nostro fu a collaborare col grande Statista Piemontese, nello svolgimento laborioso e difficile di siffatte scabrose questioni e di così importanti avvenimenti !

Ed altri delicati incarichi, per le provincie novellamente annesse, (furono dal Cavour affidati al Nigra, e così poi anche a Napoli, nel periodo delicatissimo — mirabilmente e favorevolmente risolto dal conte di Cavour — delle ire Napoleoniche contro Garibaldi, e dalla leale consegna da parte del Leone di Caprera a Re Vittorio Emanuele della Sicilia e del Napoletano, da Esso fulmineamente conquistati. (V. Carteggio, vol. IV).

Dopo  la morte del grande suo Ministro (6 giugno 1861), Costantino Nigra, nominato poi rappresentante ufficiale della novella Italia a Parigi, ebbe ancor là un periodo faticoso e luminoso, e diventò il principale artefice della diplomazia Europea, conducendo le pratiche fortunate dell'alleanza dell'Italia colla Prussia contro l'Austria.

Egli, colle sue elette qualità di mondano, di letterato e di artista, mentre era ascoltatissimo dall'Imperatore, cercava dì avvincere pure alla sua azione diplomatica la potenza maliarda dell'Imperatrice. Con essa — scrive e documenta argutamente Emilio Pinchia (vedasi la lettera 16 dicem- bre 1863 del Nigra all'Imperatrice) ei si faceva modestamente premuroso della reputazione gastronomica subalpina (ad esempio, coll'offerta di magnifici tartufi e colla ricetta per cucinarli !') ; ma pure ad Essa — in un coi frivoli complimenti e coi doni — cercava far sentire la voce della Patria nostra, non ancora tutta redenta!

Una sera, nel giugno 1863, nel laghetto di Fontainebleau, accanto alle altre imbarcazioni di vari Paesi, vi era pure una gondola veneziana procurala dal conte Sormani-Moretti, segretario della legazione Italiana a Parigi. L'Imperatrice chiese al gondoliere di cantare una canzone veneziana: ma il gondoliere non ne sapeva. Nigra, che era presente, propose di scriverne una. E scrisse quella famosa « Barcarola » che fu poi messa in musica e venne largamente distribuita dal Comitato segreto per Venezia.

Diceva la barcarola, cantata sulla mandola del galante ambasciatore : E così finisce la barcarola

  • Me battezzò dell'Adria l'irata onda marina,
  • Me la Fatai Regina, dei Dogi a te mandò.
  • Ire, speranze e lacrime d'un popolo infelice,
  • o bionda Imperatrice, innanzi a te porrò...
  • Il fier leone aligero d'aspre catene è carco,
  • la terra di San Marco calpesta lo slranier...
  • Sovra il suo letto d'alighe Posa il leone,
  • e aspetta che il dì della vendetta
  • lo venga a ridestar...
  • Donna, se a caso il placido tuo lago,
  • a quando a quando, teco verrà solcando
  • il muto Imperator,
  • Digli che in riva all'Adria
  • Povera, ignuda, esangue Geme Venezia e langue,
  • Ma è viva... e aspetta ancor!

 E' poi troppo noto — perché sia il caso di specialmente ricordarlo qui — l'aiuto personale, coraggiosamente e cavallerescamente dato nel 1870 dal Nigra alla bella e sventurata Imperatrice, perché potesse fuggire viva da Parigi che — in preda alla rivoluzione — abbattute ed incendiate le Tuileries — voleva fra le mani la consorte dell'Imperatore (indubbiamente consigliera e compartecipe della sua politica), quando questi, dopo Sédan, era già prigioniero dei Tedeschi ! Caduto il secondo impero (della cui Corte imperiale il Nostro era stato l'enfant gaté), continuò il Nigra a rimanere a Parigi ancora colla nuova Repubblica: passò poi — rifiutando anche altri importanti incarichi di politica militante — ambasciatore a Pietroburgo, indi a Vienna, dove fu custode vigile ed attento di quella Triplice Alleanza, assai difficile nel suo equilibrio, e che ruinò poi repentinamente allo scoppio dell'ultima grande guerra mondiale!

Anche in questa seconda parte della sua vita diplomatica il Nigra rese segnalati servigi al Paese: nel suo Epistolario, dal trentennio che va da oltre il 1870 all'epoca in cui lasciò l'Ambasciata di Vienna, per ri- trarsi a vita privata e al meritato riposo (troncato il 1° luglio 1907 da repentina morte a Rapallo) — epistolario che viene, a quando a quando, in parte alla luce (vedansi le lettere inedite stampate ora nel ci- tato numero della « Nuova Antologia » da Carlo Richelmy) —, si vede quanto fossero desiderati ed ascoltati la sua parola ed il suo consiglio da uomini, come Pasquale Stanislao Mancini, Emilio Visconti- Venosta e Francesco Crispi: e come, sulle direttive politico-diplomatiche del suo Paese — ad esempio nel periodo specialmente triste della politica africana — preciso e severo fosse il suo pensiero ed il suo giudizio. (In una lettera dell'agosto 1896 al Marchese Visconti Venosta egli scriveva infatti: « La cosa è dura per il nostro amor proprio, ina ormai il nostro paese deve persuadersi che quando si adoperano diplomatici come Antonelli, generali come Baratieri, e Ministri come Mocenni, non si possono avere pretese soverchie »).

Certo è però che — senza accogliere sic et simpliciter il pensiero di E. M. De Vogué, quando scrisse nel Figaro (6 luglio 1907), all'epoca di sua morte: « En 1870, la làche de Nigra était accomplie: l'instrument, dont s'était servi l'habile artisan, l'Empire francais, était brisé. Nigra pouvait étre utile encore pour orner et consolider la maison qu'il avait bàtie, mais l'instinct populaire, fait d'une crucile et sagace ingratitude, l'écartait de la direction de cette maison » — all'intensità travolgente della prima parte dell'opera politico-diplomatica del Nigra, succedette per Esso un secondo lungo periodo di raccoglimento.

Fu detto che il suo ciclo era chiuso e oltrepassato: ma sembra ora, invece, a parecchi, che il Nostro, assuefatto ad elevati concetti di dignità, forza e lealtà diplomatica al servizio di un piccolo Stato, ma di un grande Uomo di Stato, non abbia più potuto acclimatarsi alla debole, incerta e fatua politica estera di uno Stato, reso bensì grande pure da Esso, ma governato, per troppo lungo tempo, da assai piccoli uomini, o da solo grandi burocratici, che coprivano la loro debolezza all'estero colla furberia del viver tranquillamente alla giornata, all'interno!

Se oggi Costantino Nigra rialzasse il bel capo, dormiente nell'avello di Villa, ritroverebbe certo sé stesso, in un nuovo grande Capo della nuova Italia ! Fu colmato in vita, il Nigra, di onori: Senatore, Collare dell'Annunziata, decorato delle più alte onorificenze italiane e straniere, amico e consigliere devoto di Re Umberto, ospite del quale era ogni anno ai Reali Castelli.

Ei preferì tornare però — dopo lasciata la vita diplomatica militante —, e purtroppo per assai breve volger di anni, alla tranquillità degli studi prediletti (morte, infatti, lo colse mentre correggeva le bozze di un suo studio di filologia), ed amò andar peregrinando, anche in cura della malcerta salute, tra le stazioni climatiche (morì infatti a Rapallo), Roma, il suo bel palazzo di Venezia ed il dolce suo Canavese, la quiete della sua Villa Castelnuovo, dove volle tornare, per il riposo che non ha fine, nella tomba familiare che è diventata meta di pellegrinaggio e di culto per i suoi compaesani e per i canavesani !

  • a) Specialmente nei suoi studi e nelle ricerche storiche e scientifico-letterarie, Costantino Nigra predilesse ed illustrò il Canavese!

Di detti studi or dirò brevemente, perché si è — per essi — che il Nigra è essenzialmenle nostro, ed illustratore della nostra Terra!

L'erudizione del Nigra, come filologo, linguista e traduttore (preciso ed elegante ad un tempo) dal greco e dal latino, fu grande, profonda ed acuta: degno pronipote del sommo De Rossi, pur fra le fatiche snervanti della diplomazia, trovò tempo e modo di pubblicare opere che lo portarono a fama, anche in questo campo scientifico. Così nel 1896 diede alla luce, con erudita prefazione (in cui si fa pur cenno del dialetto canavesano) il libro « Glossae Hibernicae veteris Codici Taurinensis Lutetiae Parisiorum », illustrando un vecchio e prezioso codice ibernico del secolo IX, conservato nella Biblioteca Nazionale di Torino; mentre già fin da assai prima (dopo il 1850), il Nigra aveva iniziato la pubblicazione — dapprima nella rivista // Cimento, e poi anche in studi a parte, con ampie e dotte note — di alcune sue traduzioni dal greco e dal latino: e così la Chioma di Berenice, l'Inno di Callimaco, i Lavacri di Pallade, ecc.: ed ora — nel citato fascicolo della « Nuova Antologia » — il prof. Spezi ci riporta altri interessanti ed inediti brani di traduzione dell'Odissea, e lettere eruditissime (e pur inedite) del Nostro. Certo è però che — ripeto — precipuamente nel suo e nostro Canavese si moltiplicarono ed approfondirono i suoi studi storici, linguistici e folkloristici (o di costume) — come maggiormente inspirati dall'amore del natio loco —; ed abbiamo così una sua dotta dissertazione Sul Nome d'Ivrea, un'altra Sulle origini e sulle ramificazioni della Casa Marchionale di Ivrea in relazione alla Casa di Savoia: e, per la parte linguistica, un suo Studio sul dialetto di Viverone, parecchi studi sull'aspro dialetto della bella Val Soana, — e soprattutto l'opera sua veramente magistrale Canti popolari del Piemonte, che ei cominciò a pubblicare a brani nel Cimento (1854), poi nel 1858-1862 nella « Rivista Contemporanea »; e infine raccolse in edizione com- pleta, dividendo la raccolta in Canzoni storiche, romanzesche e diverse. Orbene in tutti questi studi dialettali, — nei quali il Nostro non riproduce soltanto la canzone, ma ne analizza il metro, ne paragona il soggetto con i canti di altre nazioni, talvolta riproducendola (in caso di comunanza di fonti) in più lingue e dialetti, e s'addentra a trame (acutamente e con grande erudizione) l'origine storica, — il Canavese fu il campo delle sue più diligenti investigazioni: curioso e desideroso, com'era, di trarre dal dialetto la storia e il costume di nostra gente. Egli andava perciò peregrinando pel Canavese (nelle ore lasciate libere dalle sue cure d'ufficio), e raccogliendo il materiale dalla bocca stessa dei vecchi cantori: ad es. percorse tutta la Val Soana, e del suo astruso dialetto locale formò, per uso suo, una grammatica. E scrisse, al proposito di queste canzoni popolari: «o m'illudono l'amore grande che ho delle cose nostre, e l'orecchio da lunga mano assuefatto a queste rozze e commoventi armonie, — o la poesia popolare del Piemonte (e in specie del Canavese) merita di esser raccolta con cura e studiata ».

  1. E non solo i dialetti, ma i costumi del vecchio Piemonte, e specialmente del suo Canavese — e con specialissimo filiale riguardo alla sua Valle di Castelnuovo col bel paese di Villa (nel cui castello, ora elegantemente rimodernato, egli nacque) e con Cintano e Sale (i tre Comuni - allora - della Valle, così bene da Esso descritti, quasi a prefazione del suo Natale) — II Nigra diligentemente studiò e pubblicò così, coll'affettuosa e dotta collaborazione di Delfino Orsi, nel 1894 II Natale in Canavese, nel 1895 La Passione in Canavese e nel 1896 II Giudizio Universale nel Canavese, con indagini storico-filologiche interessantissime e colla riproduzione del testo dei Manoscritti, contenenti le parole delle rappresentazioni di detti drammi, che si tenevano in questi suoi paesi della Val di Castelnuovo, e specialmente nella sua « Villa » natia.

Non posso trattenermi — come saggio del contenuto di queste pubblicazioni (così folkloristicamente canavesane) — dal riportare qui la magistrale descrizione della recita del Natale fatta da Costantino Nigra nel primo di questi bei volumetti: « II Natale » — son sue parole — « si recita sempre in chiesa durante la messa di mezzanotte, fra il 24 e il 25 dicembre. La descrizione qui fatta si riferisce alla rappresentazione del 1838 in Villa Castelnuovo, nella quale sostenni, fanciullo, la parte di uno degli angeli minori. In un canto della Chiesa Parrocchiale, presso l'altare laterale, a destra di chi entra, era stata costruita la capanna. Dentro alla capanna, visibile, era stato posto il Bambino, fatto di cartapesta, cerata e colorata. Il reggente della Parrocchia diceva la Messa di mezzanotte. Dopo il Credo, due fanciulli, vestiti da Angelo (uno dei quali « ero io), vennero, con un cero in mano, a mettersi alla balaustra, uno a destra, uno a sinistra. In quel momento si udì picchiare alla porta maggiore della chiesa. Il celebrante salì sul pulpito, dove rimase seduto fino alla fine della recita. I due angeli dissero pochi versi a guisa di prologo, che erano una parafrasi del Gloria in excelsis Deo et in terra pax. Si picchiò di nuovo alla porta. I due angeli andarono allora ad aprire. Undici pastori, con larghi cappelli bianchi e mantelli formali da coperte bianche di lana, con lunghi bastoni e colle rispettive offerte sotto il braccio, entrarono e si fermarono in mezzo alla navata della chiesa. Essi si erano radunati in casa di mio padre, e di là si erano recali alla vicina chiesa con fiaccole e al suono del piffero. Giunti in mezzo della Chiesa, Montano, uno dei pastori, cominciò la sua parlata: Perdona, o Melibeo, io non t'intendo ecc. Quando Melibeo pronunciò le parole : Mirate il clivo, il monte, il fiumicello, il fonte, come del vago april..., l'angelo maggiore uscì dalla sacrestia con un gran cero in mano e venne incontro ai pastori. Dopo aver loro annunziato la nascita del Salvatore, li condusse alla capanna, dinanzi alla quale, rispondendo alle loro osservazioni e all'espressione della loro pietà e meraviglia, spiegò la moralità del Natale di Gesù in così umile luogo, e ne predisse la passione, come sta scritto nel testo. Per aiutare la sua memoria, l'angelo maggiore aveva scritto la sua parte tutt'intorno al cero..... ... Fu già descritto il vestimento dei pastori. Quello degli angeli consisteva in una tunica bianca con ali al dorso. Io ero stato vestito con cura dalla mia buona mamma, con una bella tunica candida, cinta d'un nastro, con corone di rose sui capelli, e con due magnifiche ali di penne di pavone alle spalle... Alla recita assisteva tutta la popolazione valida della parrocchia. Nella notte oscura, per i sentieri alpestri, coperti di neve, gli abitanti dei più lontani casali eran venuti in lunghe processioni... Lo spettacolo era grandioso e commovente... ».

Basti il qui detto sugli Studi dei costumi e delle tradizioni del Canavese, compiuti dal Nigra.

  1. Ma si è l'anima poetica del suo Canavese che egli pure sentiva vibrare in sé, e che gli dettò versi

Costantino Nigra fu vero Poeta, degno (per me) di stare accanto ai nostri maggiori e migliori Poeti Canavesani.

Ed Emilio Pinchia — sempre nel suo Itinerario Canavesano — bene fece a porre il Nigra accanto ai Giacosa, ai Gozzano, ai Cena, oltre agli ottimi dialettali Giuseppe Riva, Fulberto Alarni ed al ruegliese Pietro Corzet Vignot; ed a riprodurre brani bellissimi dei suoi Idillii dai quali spira il fremito gentile e la luminosa e varia bellezza della nostra terra.

Ma dove la descrizione del Canavese (nella storia e nelle cose) assume, nel verso di Costantino Nigra, mirabile e degna forza di espressione e di rilievo, si è nella nota (già ricordata) poesia per le nozze di Alessandrina d'Azeglio (1852) che, se valse al Nostro la simpatia di Massimo d'Azeglio e il benevolo augurio di Alessandro Manzoni, per noi Canavesani è sommamente suasiva e suggestiva. Ad Alessandrina d'Azeglio, che va sposa a Firenze ( ad altre terre il fato or ti concede: e te chiama alle sue splendide mura, la di fiori altrice, bella sposa dell'Arno...), ricorda il Poeta:

Però la tèrra dei tuoi padri antica Non obliar, benché lontana. A Lei, Se mai ti fu di pure aure cortese, E di bei Soli, e di stellate notti,

Col memore pensier spesso ritorna.

Fra l'Alpi e la maggior Dora, e la sponda Del superbo per molte acque Eridano, Ove, mugghiando, le dorale arene Disdegnoso di ponti Orco rivolve,

Bellissima fra quante il sol riscalda, E' una Terra di pampini e di messi E di gregge feconda. Ivi leggiadre

Le donne, e amico ai pellegrini il tetto, E la coppa ospitale, ed esultanti

Di vendemmie, di cacete e di canzoni, Le colline e le valli. Ivi severa

Di studi ed armi disciplina.

Caro L'onor più che la vita. Intemerata Lealtà. Fiero, indomito, operoso Amor di patria, e nei securi petti,

Come l'Alpe natia, salda costanza.

A me fu Patria, e Canavese ha nome La superba contrada. In su la riva D'un queto lago, di ridenti ville Coronato e di selve, antiquo s'alza

Un castello, di mura ardue e di fosse Un dì cerchiato; a tergo alta gli sorge Folta d'ombre la Serra, e di lontano Le sue merlate al del torri sospinge La domatrice di cavalli Ivrea.

Qui giovinetta, delle grazie alunna, Ebber la culla i padri tuoi. Sovente Questa terra li vide aspri d'acciaro Seguir la savoiarda Aquila, scudo, Spada e vessil d'Italia nostra! A lei,

Se mai ti fu di pure aure cortese, E di bei soli e di stellate notti,

Col memore pensier spesso ritorna.

E non è certo irriverenza verso il nostro grande Pin Giacosa supporre che questi versi del Nigra non gli siano stati forse ignoti, quando nel Conte Rosso (1880) descrisse pure, con accenti e versi felicissimi, il Canavese nostro.

Oh veramente questo

Bel Canavese è una terra d'incanti! Estrema balza dell'Alpi, preludia

Con degni accordi al magico concento Dell'Itale bellezze, e non ha voce Che non sia di tripudio e di speranza!

Qui il sole innamorato indugia in lunghi Crepuscoli l'occaso, e impaziente, Quand'è ancor negro il pian, le immacolate Cime col mattinal bacio saluta...

Vo' far di questa terra un Paradiso Ove l'ordin civile e la nativa

Beltà concordi fioriscano!

 Ho voluto avvicinare queste due mirabili descrizioni poetiche di nostra terra, perché le ritengo fra le più belle e suggestive: e certo, anche nella luce della poesia, Costantino Nigra può ben stare vicino a Giu- seppe Giacosa!

Maurizio Dumoulin infatti, nel «Figaro» del 6 luglio 1907 — appena morto il Nostro scrisse a suo riguardo: « On dit couramment que les poetes, gens d'esprit peu pratique, n'arrivent a rien dans la vie: l'exemple de celui qui vieni de mourir, Comte, Senateur du Royaume d'Italie, grand Collier de l'ordre de l'Annoncada, (mais qui, pour nous, est reste le chevalier Nigra, titré sous lequel le connut le Tout-Paris du second Empire), est la preuve du contraire».

Aggiunge il Dumoulin — traendolo da un'espressione della contessa Di Circourt, l'amica di Camillo di Cavour, — che il Nostro univa alla luce dell'Arte e della Poesia, la beltà d'Alcibiade e tutta la prudenza d'Ulisse...

Nigra fu prima poeta e letterato, poi storico e filologo e — in alto grado — politico e diplomatico : per noi, fu pura gloria Canavesana, e figlio innamorato della sua terra.

Le sue poesie che — lo si è visto - vibrano di tanta luce, passione e bellezza di forma, furono raccolte da Alessandro d'Ancona in un bel volume già citato (Costantino Nigra, Poesie originali e tradotte, Firenze 1914).

Un postumo, ma sintomatico omaggio del suo Canavese e del Governo (che ha perciò felicemente interpretato il pensiero dei conterranei) — quello si è, che la valle di Castelnuovo, dal Nostro descritta e celebrata nei suoi tre Comuni di Villa, Cintano e Sale, è stata di recente riunita in un solo, più grande Comune, con tradizioni e finalità unissone: e quest'ultimo Comune or si chiama — in omaggio al suo figlio più grande ed illustre — Castelnuovo-Nigra. Si è là — nella sua ridente valle — che Costantino Nigra riposa: e la sua «Villa» che lo adorava, vi ha eretto un bronzeo ricordo e, nel cuore di tutti un monumento « aere perennius », più duraturo del bronzo !

Numerosi ricordi, anche preziosi, doni, documenti, oggetti di valor storico ingente, — in sintesi — molto di quanto un diplomatico della levatura del Nostro può raccogliere nella sua lunga carriera, è pur stato adunato nel bel Castello di Villa, e amorosamente custodito prima dal figlio Conte Lionello — immaturamente rapito alla vita, e autore pur esso di pregiate poesie, pubblicate in bel volume  (« Poesie postume » di Lionello Nigra)  —  e poi dalla vedova Contessa Teresina Nigra

Martin Perolin, che degnamente seppe mantenere e proseguire — fino alla sua morte — le nobili tradizioni di Casa Nigra.

  • — Una cosa però non si è più trovata: e cioè il manoscritto dei «Ricordi diplomatici », a cui il Nostro accudì, con lavoro intenso e con materiale di ricordi, memorie e documenti prodigioso, per anni ed anni, fino a permettere al suo fido collaboratore, conte Delfino Orsi, di annunziare sulla Gazzetta del Popolo, nel 1903, che essi eran condotti a termine: ciò che voleva dire che dovevano già essere stati da esso riveduti e corretti col più rigoroso scrupolo.

Dai pochi Saggi pubblicati (di detti Ricordi), e da quelli letti agli amici (traendo egli a quando a quando una parte del copioso manoscritto da un suo prezioso forzierino ad hoc) si può comprendere la gran- dissima importanza dell'opera. Detti Ricordi dovranno venir fuori dopo la sua morte. Orbene il Nigra morì nel 1907: siamo a 27 anni dopo, e non è venuto fuori né il manoscritto delle memorie, né il suo testamento.

Delfino Orsi ha ognor negato la possibilità della distruzione, che altri invece preferiscono di pensare. «E' assurdo il supporre» — scrive il conte Orsi — «che un uomo tanto meticolosamente ordinato in tutte le sue cose, preparato da tempo alla morte,  non abbia messo in carta i suoi pensieri, e dichiarato per iscritto le sue volontà, sia circa la destinazione a scopi sociali di qualche parte delle sue cospicue sostanze, sia circa la conservazione o il passaggio ad archivi dei molti e molti importanti documenti che, — oltre i manoscritti dei ricordi — erano nei suoi forzieri. Non voglio avventurarmi in supposizioni: ma non si può a meno di intravvedere un nesso tra queste due lacune; quella dei Ricordi e quella del testamento. E naturalmente non concludo: ma resto ancora nella  speranza  che,  com'è stata misteriosa la sparizione di uno degli scritti più organici, più schietti e perciò più preziosi, della Storia del nostro Risorgimento, così, magari per un impensato e misterioso dono della sorte, ci si annunzi un giorno che è stato ritrovato il Manoscritto dei Ri- cordi diplomatici di Costantino Nigra ». (V. DELFINO ORSI, II Mistero dei « Ricordi Diplomatici » di Costantino Nigra in Nuova Antologia, n. 16, nov. 1928, cit.).

Questo è pur il voto nostro e di ogni Italiano! (Nota 2)

  • — Come è eziandio nei voti nostri, o nel più vivo desiderio e nella più fervida nostra speranza, (che potremmo già conclamare come radiosa realtà) che il Centenario della nascita di Costantino Nigra — dell'uomo insigne, che illustrò il Canavese colla poesia e colle lettere, e servì l'Italia, nel periodo di sua vita più periglioso, con intelletto ed acume altissimi, e l'uno e l'altra onorò ed esaltò coll'opera sua veramente memorabile — non sia da qualche po' trascorso senza aver tratto con sé i migliori auspici !

Costantino Nigra combattè, come bersagliere, per l'indipendenza del suo Paese, e collaborò poi, in intima ed incessante comunione di fede e di opere, con un grande Uomo di Stato, che seppe unificare l'Italia con una meravigliosa politica all'estero ed all'interno! Più tardi, di fronte ad una politica successiva, debole ed incerta, così all'esterno che all'interno, egli si appartò, e quasi sdegnoso si ritrasse.

In oggi — già accennai — Costantino Nigra ritroverebbe alla testa del paese nostro Chi combattè, con esso, tra i bersaglieri, per la piena redenzione della Patria: e Chi essenzialmente ritorna a svolgere una politica estera fatta di lealtà, dignità, ma pure di forza come quella del grande Statista piemontese.

Certo — Nigra redivivo — (lo sentiamo tutti) ritroverebbe il suo Uomo !

Voglia il Suo spirito elettissimo ciò vedere dall'al di là misterioso, e benedire ancora una volta all'Italia nostra, divina e possente, e «novella assunta fra le genti»!

NOTE

  • La mirabile commemorazione del Nigra, tenuta da Sua Eccellenza il conte De Vecchi di Val Cismon, è stata pubblicata nel numero di dicembre 1929, della Rivista « II Risorgimento Italiano » (p. 297-322), unitamente ad un breve discorso di presentazione di S. E. il Marchese Cesare Ferrero di Cambiano e ad altri pregevoli scritti, sull'opera multiforme del Nostro, di Eugenio Passamonti, Adolfo Colombo, Walter Maturi e Luigi Collino. Detto numero della Rivista fu dedicato tutto alla memoria di Costantino Nigra, come pure il numero di novembre 1929 della « Nuova Antologia ».

All'una ed all'altra pubblicazione si rimanda il lettore, come pure al nuovo, bellissimo articolo di S. E. il Conte De Vecchi, pubblicato nel numero del 16 gennaio (1934-XII) della « Nuova Antologia » e riferito anche nel giornale « La Stampa » del 14 gennaio. Di detto articolo, dal quale apprendiamo finalmente notizia dei famosi « Ricordi Diplomatici » di Costantino Nigra, che si speravano celati, ed invece furono in gran parte distrutti (per volontà dello stesso loro Autore) dirò più avanti, laddove nella Conferenza si parla appunto di detti Ricordi.

 Come già dicemmo avanti, purtroppo il desiderio ed il vaticinio di Delfino Orsi (e, del resto, di tutti) che i « Ricordi diplomatici » di Costantino Nigra riapparissero, un giorno o l'altro, integralmente (o quasi) alla luce, non si potrà più avverare che in minima parte, per quanto ora ci dice S. E. De Vecchi nel suo attuale (cit.) art. sulla «Nuova Antologia», ove, dandoci la notizia che le carte del Nostro sono ora a sue mani, dolorosamente aggiunge però che, in buona parte, esse sono distrutte. Giova ceder la parola all'insigne Scrittore: «II blocco delle carte Nigra è ora nelle mie mani reverenti. Ho purtroppo la netta impressione, per non « dire la certezza che la più gran parte dei famosi fascicoli, che Delfino Orsi vide, toccò ed in minor misura lesse: così ben ordinati, scritti con tanta cura della forma e della stessa ortografia, siano andati distrutti. Ho avanti agli occhi, mentre scrivo, cinque copertine, vuote tutte, tranne una, formate con carta intestata della Legazione d'Italia a Parigi. La prima reca la scritta di pugno di Nigra : « Ricordi Diplomatici - Documenti XI-XIV - dal 1860 «al 1866». E più sotto: « XII- 4 ». E più sotto ancora scritto in matita e sempre di pugno dell'Ambasciatore: Da ardersi « in caso di morte improvvisa». « N. ».

« La seconda reca la scritta autografa: « Ricordi Diplomatici XV-XVII ». Più sotto: « Da ardersi subito

». E più sotto ancora: « (Da ardersi in caso di morte improvvisa) « N. »,

« La terza reca la scritta sempre autografa: «Ric. Dipl. XIX-XXI » e più sotto: « Da ardersi. - N. »

« La quarta porta a sua volta la scritta seguente ed autografa: « Ricordi Dipl. « XXVIII-XXX » e più sotto : « Da ardersi » « e più sotto ancora: « Non corretti. Da ardersi in caso di morte. - N. ».

« L'ultima porta, sempre autografa, la scritta seguente : « Documenti, appunti e ricordi diplomatici » ed in fianco in matita: « Da distruggersi in caso di morte ».

« II contenuto di tutti cadesti fascicoli non è più reperibile fra le carte, dove tuttavia non mancano documenti di alto interesse storico. Debbo pertanto presumere che siano veramente andati distrutti, come alcuni studiosi credettero ed altri dubitarono. Rimane ancora da conoscere in quale tempo ed in quali circostanze la distruzione sia avvenuta, ma non vi ha dubbio, per la evidenza della scrittura, che, chiunque sia stato il materiale distruttore dei preziosi manoscritti, la volontà della distruzione fu una e chiaramente espressa: quella dell'autore... ».