Costantino Nigra Un diplomatico ottocentesco a caccia di canzoni
di Giorgio Gregori
Leggendo le note di copertina dei dischi di musica folk, spesso capita di trovare accanto al titolo del brano diciture come «Nigra 3» oppure «Child 10». Si tratta della numerazione progressiva delle ballate pubblicate in due opere fondamentali: i Canti po- polari del Piemonte, raccolti da Costantino Nigra e pubblicati nel 1888; e The English and Scottish Po- pular Ballads, raccolte dallo studioso statunitense Francis James Child e pubblicate in cinque volumi tra il 1882 e il
1898.
Costantino Nigra nacque nel 1828 a Villa Ca- stelnuovo, oggi Castelnuovo Nigra, in provincia di Torino, e fece una brillantissima carriera diploma- tica rivestendo un ruolo determinante nella politica estera italiana, per il completamento del processo di unificazione dell’Italia dopo la morte di Cavour, avvenuta nel 1861. Fu ambasciatore italiano a Pa- rigi (1860), San Pietroburgo (1876), Londra (1882) e infine Vienna (1885). In parallelo all’attività diplo- matica coltivò una grande passione per la ricerca letteraria, per i dialetti del Piemonte, per gli studi linguistici, in particolare riguardo alle lingue celtiche e romanze, tramite un fitto epistolario con intellettuali dell’epoca, ai quali chiedeva in prestito o in acqui- sto volumi e manoscritti con cui arricchire la sua già vastissima biblioteca.
Se i Canti popolari del Piemonte sono stati pub- blicati in forma definitiva nel 1888, le prime raccolte datano fin dal 1854. Oggi esistono dei Canti due principali edizioni: quella più comune è il Reprints Einaudi in due volumi, del 1974; l’altra è la splendi- da edizione Einaudi del 2009, arricchita con un’in- troduzione del decano degli etnologi italiani, Alber- to Cirese, e un saggio dei curatori Franco Castelli, Emilio Jona e Alberto Lovatto. Si tratta un unico volumone di un
chilo e mezzo di peso, carta sotti- lissima, purtroppo praticamente introvabile se non a cifre folli. Molto importanti sono i 2 CD allegati, messi a punto dagli stessi curatori, che presentano un’antologia di esecuzioni delle canzoni del Nigra e delle loro varianti, recuperate negli ultimi decenni dalle voci di coloro che ancora le conoscevano ed erano in grado di cantarle; talvolta anziani nati nel 1890!
Nigra scrisse nella sua prefazione della raccolta del 1888: «Quando io cominciai le prime pubblicazioni di canzoni popolari piemontesi (1854-60), gli studi sulla poesia popolare comparata o non esisteano o cominciavano appena. […] Io fui il primo a in- dicare chiaramente l’identità d’una numerosa serie di canti popolari che sono comuni ai paesi romanzi, aventi substrato celtico, e che non esistono negli altri paesi romanzi, cioè nell’Italia media ed inferiore e nella Spagna
Castigliana.» (Nigra 1974, p. XXVII)
Egli dedicava scarsa attenzione all’aspetto musi- cale del canto e infatti, per la maggior parte delle canzoni, degli strambotti, dei canti religiosi e infan- tili, manca la trascrizione della musica. Delle 153 ‘canzoni’ che lui commentò confrontando oltre cin- quecento diverse lezioni, riporta solo 15 linee melo- diche, in forma striminzita: è una caratteristica co- mune alle raccolte ottocentesche.
Lo studioso Giuseppe Cocchiara scrisse inoltre nella sua prefazione ai Canti apparsa in occasione della prima edizione Einaudi del 1957: «Ma al Nigra non interessa tanto il valore poetico dei canti che ha raccolto, quanto la tradizione che li sostiene. Egli ha compreso che la poesia popolare non è soltanto un saggio poetico, ma anche un documento etnogra- fico con una sua tradizione culturale.
Nella poesia d’arte un testo è fine a se stesso, chiuso e defini- tivo; nella poesia popolare invece, esso per vivere una sua vera vita, deve modificarsi continuamente, e dare origine ad altri testi.» (in Nigra 1974, p. XIV) Si dovrà attendere il 1934 e la relazione di Miche- le Barbi al III Congresso nazionale di arti e tradizioni popolari a Trento, perché l’importanza della musica venga posta con forza all’attenzione: «Grave danno per lo studio e la valutazione della poesia popolare è stato l’averla sempre considerata disunita dalla melodia. Non esiste poesia propriamente popolare senza canto.» (in “Pan”, n. 9 ,1934, pp. 41-55) Nigra fu un pioniere anche per quanto riguarda il metodo di raccolta dei canti: «I componimenti qui pubblicati furono […] trascritti dal canto o dalla det- tatura, per lo più di contadine, che facevo ripetere, semprecché potevo, due o tre volte, e in epoche diverse. (Nigra 1974, p. XXXI) E ancora: «Sotto ciascuna lezione sta scritto il
nome, se conosciuto, della persona che la cantò, la dettò o la trascrisse, non che il nome del luogo in cui fu cantata, dettata o trascritta.» (id., p. XXVIII)
Una passione di Nigra fu la ricerca storica dell’origine di queste ballate, teorizzando che se descri- vono un fatto molto antico, anche la ballata stessa deve essere antica. L’esempio è dato dalla famosissima “Donna lombarda” (Nigra 1), per la quale ipotizza che si possa risalire all’età longobarda, alla vicenda e alla leggenda del re Alboino e di Rosmunda (evocate nella nota frase «Bevi Rosmunda dal teschio di tuo padre» ripresa da una parodia gio- vanile di Achille Campanile).
Un’ipotesi contestata dagli studiosi del ’900.
Le ricerche del Nigra sono estremamente affasci- nanti, per ogni ballata si cerca una comparazione tra varie versioni disseminate in tutta Europa. Il suo lavoro ha una tesi di fondo che va oltre la parte mu- sicale e si riallaccia al suo ruolo di diplomatico, di protagonista dell’Unità d’Italia.
Così scrive: «L’Italia rispetto alla poesia popolare (come rispetto ai dia- letti) si divide in due zone: Italia inferiore, con sub- strato italico; e Italia superiore, con substrato celti- co.» (id. LXVI-LXVII)
Un volume del 2011, Costantino Nigra etnologo, a cura di Piercarlo Grimaldi e Gianpaolo Fassino, raccoglie gli atti di un convegno di studi del 2008 organizzato per il centenario della morte. In esso c’è, tra gli altri, un intervento di Domenico Scafoglio dal titolo “Le due Italie di Nigra ovvero come si è costruita l’identità nazionale” (pp. 115-120), che sintetizza: «Nel pensiero di Nigra la lingua è stret- tamente connessa alla struttura bio-psichica delle singole razze e perciò
diverse lingue non rinviano semplicemente a diverse culture, ma, prioritariamente, a diverse situazioni biologiche.» È evidente che la divisione dell’ItaIia in due aree etnicamente e linguisticamente distinte poteva entrare in contrasto con il processo di unificazione e perciò, fino aI 1870, quando Roma divenne capitale, Nigra ed altri studiosi ne tacquero. Nell’edizione dei Canti del 1888 il termine ‘razza’ non viene più utilizzato. Cocchiara nel 1952 scriverà in Storia del folklore in Europa che «per lui il concetto stesso di razza contempla esclusivamente quelle che sono le attitudini naturali, morali, intellettuali e artistiche di un popolo.»
(Cocchiara 1971 [ed. or. 1952], p. 369) Una discussione spinosa, chiusa da Roberto Leydi nel 1973 in I canti popolari italiani: «[…] oggi ci rendiamo perfettamente conto che dietro l’impegno di sistemazione filologica di Costantino Nigra c’era anche la sottintesa preoccupazione di fornire un supporto al privilegio piemontese sulle altre regioni del giovane Regno d’Italia (dimostrando la vocazione epica e civile dei sudditi sabaudi di fronte alla vocazione lirica e amorosa dei
cittadini meridionali, rudi cantori di ballate i primi, vaghi stornellatori i secondi)» (p. 14). Una contrapposizione quindi tra ballata al Nord e lo strambotto/stornello al Centro-Sud. Tanto che Nigra chiude il volume dei Canti con una piccola raccolta di “Strambotti e stornelli” alla quale, dopo tanta ab- bondanza di ballate, non fa caso nessuno. Eppure, sempre negli atti del convegno del 2008, un intero capitolo è dedicato a “Lo strambotto piemontese: un genere di canto ingiustamente trascurato” di Franco Castelli (pp. 211-240): un canto in una strana lin- gua non propriamente dialettale, maccheronica, un linguaggio definito «erotico plebeo», cantato quasi prevalentemente dalle donne.
Arriverà poi la guerra del 1915-1918, che metterà nelle trincee uomini provenienti da tutte le parti d’I- talia, ciascuno con i suoi canti, che saranno spunto per canti tragicamente nuovi. Il volume del Nigra resta in ogni caso una miniera cui hanno attinto in molti, ai quali è stata data la libertà di modificare i testi e di creare musiche. Per quanto riguarda la parte degli strambotti piemontesi, in particolare, consiglio l’ascolto del CD del gruppo di folk revival della Ciapa Rusa,
Stranòt d’amur: canti e danze dell’Alessandrino del 1984. Una bella serie di canzoni e musiche popolari del Piemonte si trova anche qui: www.teche.rai.it/2014/11/archivio-del-folclore-musicale-italiano-piemonte/.
Giorgio Gregori